Bangladesh, profughe Rohingya costrette a prostituirsi

Bangladesh, profughe Rohingya costrette a prostituirsi
28 novembre 2017

Mentre il Papa si trova in Myanmar e prova a destreggiarsi denunciando e parlando – senza citare le vittime – della pulizia etnica, secondo l’Onu, di cui e’ vittima la minoranza musulmana Ronhingya, la Bbc in un servizio rivela come ragazzine profughe tra i quasi 620.000 che hanno trovato rifugio in Bangladesh, sono state costrette a prostituirsi. I reporter del servizio pubblico britannico hanno parlato con diverse profughe Rohingya nella cittadina bengalese di Cox’s Bazar a soli 22 km dal confine con il loro Stato birmano di origine, il Rakhine, da cui dal 25 agosto sono stati cacciati dalla polizia e dall’esercito di Naypyidav. In particolare in un video si sente la testimonianza di una 17enne che racconta di essere tenuta in ostaggio in un hotel e “tratta come una schiava”, aggredita di notte da uomini armati che abusano da lei. Tragedia nella tragedia: dice di essere stata “venduta per fare sesso da Rohingya come lei” E’ poi la volta di una 15enne scappata dal Myanmar quando la madre e’ stata uccisa. Dice di aver dato tutto quanto aveva a l’uomo che in barca la portata in Bangladesh e che alla fine l’ha stuprata. Una volta giunta in Bangladesh una donna si e’ offerta di aiutarla ma poi si e’ rivelata una trappola e la sua apparente benefattrice la obbliga a fare sesso con diversi uomini ogni sera e le da’ delle ‘medicine’ per non farle sentire dolore. La Bbc sottolinea che le due adolescenti intervistate sono ora fuori dal giro della prostituzione ma “ci sono molte altre come loro”.

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“Spero che il Papa non nomini mai la parola Rohingya”, aveva confidato l’arcivescovo di Yangon (Birmania), cardinale Charles Maung Bo, in un’intervista a Tv2000, in merito al viaggio papale in Myanmar e Bangladesh iniziato domenica scorsa. E Papa Francesco ha trovato il modo di seguire l’indicazione senza omettere la doverosa attenzione alla vessata minoranza musulmana dei Rohingya, in difesa dei quali spesso ha lanciato appelli: il Papa li incontrera’ a Dacca, nella tappa successiva del viaggio. Tuttavia, per il portavoce della Santa Sede, Greg Burke, “Rohingya non e’ una parola proibita in Vaticano”. “La chiesa prende questo consiglio sul serio”, ha proseguito Burke aggiungendo che “poi pero’ se lo dira’ o meno lo scopriremo insieme”. Nei giorni scorsi, il Bangladesh e il Myanmar hanno firmato un Memorandum d’intesa sul ritorno dei rifugiati Rohingya che sono fuggiti attraverso il confine di fronte a una repressione militare del Myanmar. L’accordo e’ stato firmato dal ministro degli esteri del Bangladesh AH Mahmood Ali e dal Myanmar State Counselor e Ministro per l’ufficio del consigliere di Stato del Myanmar U Kyaw Tint Swe nella capitale del Myanmar di Naypyidaw giovedi’. Secondo Somoy TV, “questo e’ il primo passo. I due paesi dovranno ora lavorare ai “prossimi passi”, ha detto Ah Mahmood Ali.

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“Siamo pronti a riprenderli il prima possibile dopo che il Bangladesh ci ha restituito i moduli”, ha detto Myint Kyaing, un segretario permanente al ministero del Lavoro, dell’immigrazione e della popolazione di Myanmar, riferendosi ai moduli di registrazione che i Rohingya devono completare con i dettagli personali prima del rimpatrio, ha riferito BDnews. I gruppi per i diritti umani hanno accusato le forze armate nella maggioranza buddista del Myanmar di aver compiuto stupri di massa e altre atrocita’ durante un’operazione anti-insurrezionale lanciata a fine agosto come rappresaglia per gli attacchi dei militanti Rohingya nello stato di Rakhine, scrive l’Hindustan Times. Il rapporto del giornale ha inoltre affermato che “l’accordo sul ritorno dei profughi dallo Stato di Rakhine” non fissa una scadenza per il ritorno dei rifugiati, ma i rapporti suggeriscono che i Rohingya potrebbero iniziare a tornare alle loro case entro due mesi. Le parti hanno inoltre convenuto di formare un gruppo di lavoro congiunto per avviare il processo di rimpatrio. Mercoledi’, gli Stati Uniti hanno detto che l’operazione militare che ha spinto 620.000 Rohingya a cercare rifugio nel vicino, in gran parte musulmano, il Bangladesh, e’ una “pulizia etnica”, riecheggiando un’accusa messa in primo piano da alti funzionari delle Nazioni Unite nei primi giorni della crisi umanitaria.

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