I capelli di Berlusconi, il contratto da Vespa e “la bellissima Raggi”. Parla Luigi Crespi

I capelli di Berlusconi, il contratto da Vespa e “la bellissima Raggi”. Parla Luigi Crespi
29 giugno 2016

di Luca Telese

Luigi: sei stato autonomo, militante, sondaggista, consigliere di Berlusconi, imputato, spin doctor, pubblicitario.. 

“Vero. Ma la sliding door della mia vita è quella che mi ha tenuto lontano dal terrorismo”.

Racconta.

“Maggio 1977, Milano. Frequentavo l’area dell’Autonomia Operaia: stavo per entrare nella lotta armata”.

Per modo di dire?

“No, per davvero. Tirano una bomba incendiaria a casa mia, che per fortuna non esplode”.

E poi?

“Mi sparano due colpi di pistola in via Celentano. Ancora oggi – se passo – trovo al tatto i due proiettili infilati nel muro”.

Perché? 

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Luigi Crespi

“Furori giovanili: la rabbia, l’antifascismo militante: lambivo Prima Linea. Avevo 15 anni. La mia fortuna”.

Perché?

“Temporeggiavano. Non mi cooptavamo perché ero troppo giovane”.

Che succede?

“Mia madre, comunista, è molto preoccupata. Una sera mi dice: ‘Vieni a vedere Pannella in TV!'”.

Che giorno era?

“Dopo che la polizia aveva assassinato Giorgiana Masi. È il Pannella che denuncia le infiltrazioni della Digos nelle manifestazioni : ‘I lupi sono  scesi dalle montagne…'”.

E ti cambia la vita?

“Resto ipnotizzato. Contrappone la bellezza dello stare insieme e la non violenza, alla lotta armata. Mi colpisce a tal punto che mi iscrivo al Pci”.

Non ai Radicali?

“Psicanaliticamente era un ritorno alla famiglia. Anni dopo Pannella si arrabbierà: ‘Ma scusa, tu resti incantato da un mio comizio e ti iscrivi al Pci? Sei un assoluto coglione'”.

Ah ah ah!

“Aveva ragione”.

Nel tempo del tripolarismo in cui bisogna riscrivere tutte le mappe della politica, per capire che aria tira, bisogna sentire uno come Luigi Crespi. La sua è una storia un po’ americana: inizi ribellistici, giovinezza comunista, vita professionale Berlusconiana, poi tracollo, resurrezione. Oggi si occupa “di creare valore attraverso la formazione e la comunicazione”, mas resta un analista politico vero.

Le tue generalità?

“Mio padre Giovanni era figlio di un gerarca fascista di Busto Arsizio. Mia madre Anna era figlia del comandante partigiano Luigi Farano con il nome di battaglia Folgore”.

Zona Pansa.

“I miei Natali, per anni, sono battaglie campali fatte di furibondi litigi familiari”.

Ci credo.

“Mamma ingraiana, nonna nostalgica del duce, nonno materno comunista ortodosso, iscritto dal 1932, padre missino”.

Risultato?

“Non si arrivava mai al panettone”.

Scuola? 

“Istituto tecnico. Poi mia madre nel 1978 mi manda in Svizzera. Scuola superiore di comunicazione. Dopo Faggeto Lario e Frattocchie”.

Quando sei uscito dal Pci?

“Mai. Sono rimasto nel partito fino al 1989, poi si è dissolto”.

Ti ha segnato? 

“Una grande scuola di vita anche se passavo tutte le vacanze a montare stand”.

Mica è un martirio.

“No, anzi: si scopava tantissimo”.

Inizi a lavorare.

“Vendevo pubblicità, polizze di assicurazione, anche bigiotteria”.

E volevi fare il guerrigliero!

“Erano anni straordinari: passavo i week end tra il teatro dell’Elfo, il Lirico e la Palazzina Liberty e a Milano potevi fare qualsiasi cosa immaginassi”.

E poi?

“Football americano nei Rhinos  Milano. Indirizzato da mia madre per sfogare la mia aggressività”.

Brava.

“Avevo la mitologia del conflitto. Degli scontri di piazza. Mi manda nell’unico posto dove quello che ero è un valore: linea di difesa”.

Sei sempre militante?

“Nella Fgci milanese: con Sergio Scalpelli, Chicco Testa, Marco Fumagalli, Marco Cipriani e Gregorio Paolini, finito in TV. Massimo Ferlini, il mio segretario, poi approdato alla Comagnia delle Opere”.

Il salto di qualità?

“Divento direttore marketing di una società di comunicazione della signora Laccisaglia che si occupava soprattutto di moda intima”.

E poi? 

“Il nipote della proprietaria era un dirigente della Philip Morris. Un giorno mi dice: ‘Ho un problema in una azienda di comunicazione e ricerche che si chiama Datamedia’”.

Quale? 

“Era diretta da Badalich, un guru di internet, morto qualche anno fa. Mi manda lì e passo dalle mutande al destino della mia vita”.

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Cosa ti inventi?

“La radio stava diventando impresa. Lavoro con gli Hazan, Cecchetto e Mario Volanti, ci inventiamo una indagine che cambia tutto”.

Cioè?

“Inventiamo Radar per misurare l’ascolto delle radio a renderle vendibili, da cui nascerà Audiradio. Stessa cosa che poi faremo con le tv locali con Tvbank”.

Un po’ sondaggista un po’ pubblicitario.

“Nel 1994 arriva l’uninominale e cambia di nuovo tutto. La mia doppia competenza di marketing e politica diventa preziosa”.

Cosa ti inventi? 

“Media relations un pacchetto chiavi in mano: 10 milioni di lire per dare ai candidati tutti gli estremi dei loro collegi”.

E funziona?

“Inizio con tre candidati: Antonio Marano, direttore di Rete 55, Paolo Romani Telelombardia  e Vincenzo Vita responsabile mass media del Pci. Tutti e tre vengono eletti. E io vendo il pacchetto a tutti”.

Risultato? 

“Marano mi porta a lavorare nella Lega e mi presenta a Funari”.

Stavi arrampicandoti ai vertici?

“Conta anche il caso. Mia moglie ha una casa a Ponte di Legno: ci ritroviamo a cena noi, Bossi e Funari. A luglio Gianfranco mi prova in TV”.

Funziona?

“No. Lui mi dice: “Sei bravo, ma sei grasso, assomigli troppo a Ferrara. Se non perdi 30 chili non posso fare nulla”.

E tu?

“A settembre torno magro: lui mi scrittura per Funari News. Ospite fisso e commentatore”.

Ti diverti?

“Molto. Inventiamo info-grafiche, numeri in movimento, domande all’inizio e risultato del sondaggio alla fine”.

Tocchi il cielo con un dito.

“Già. E’ il 1995 e sto andando incontro alla prima tragedia della mia vita: le bandierine”.

fedeCome accadde?

“Mi chiama Emilio Fede: ‘Mi fai gli exit poll?’. Servono un sacco di soldi, gli dico. E lui: ‘Ti do 150 milioni’. Gli rispondo che con quei soldi al massimo posso farti gli  In house poll. Ovvero telefonate a casa”.

Che accade dopo?

“La struttura della mia società è acerba, i soldi pochi, l’entusiasmo politico di Fede incontenibile. Si produce quella sceneggiata che è arrivata da Blob alla TV coreana”.

Racconta.

“Iniziamo al Tg4 con le bandierine azzurre su tutte le regioni, a fine serata sono tutte rosse”.

Ah ah ah….

Il giorno dopo Funari mi licenzia in diretta: “Vi ricordate Crespi? Non lo vedrete più”.

Era arrabbiato.

“Vengo massacrato, deriso, in sette giorni perdo metà del fatturato. La mia vita è finita”.

E come risorgi?

“Berlusconi. Parla e dice: ‘Quei sondaggi erano la verità e denuncia i brogli della Sinistra!'”.

Incontri Berlusconi?

“In campagna elettorale: seguivo Ciaurro a Perugia. Berlusconi ritarda tre ore. Devo intrattenere la platea, e poi lo accolgo io sul palco insieme ad Arturo Diaconale. Finisce la serata e mi dice: ‘Vieni a trovarmi ad Arcore!'”.

E tu corri?

“No. Mi pareva una frase di cortesia”.

Sei matto?

“Ma era un destino. Nel 1996 affonda una nave degli albanesi. Lui va lì e piange”.

E tu che c’entri?

“Facevo sondaggi in Rai: noto che l’opinione valuta le lacrime positivamente”.

E che succede?

“Mi chiama Niccolò Querci: ‘il dottore vuole vederla’”.

Stavolta ci vai.

Di corsa. Mi dice: “Noi dobbiamo collaborare. Ho capito che lei vale il giorno delle bandierine. Era l’unico ad avere il dato giusto”.

E tu?

“La ringrazio ma non è vero”.

E lui?

“Lei ancora non capisce. Standomi al fianco ce la farà”.

Che periodo era?

“È il 1996: Prodi ha vinto. Berlusconi teme di essere in un angolo. Faccio con lui la traversata del  deserto”.

Chi c’era?

“Querci con lui, Scajola all’organizzazione, Dell’Elce alla cassa: una grande squadra. Io divento il creativo”.

E come funziona? 

“Sono più le cose che imparo di quelle che suggerisco”.

Esempio?

“Un giorno porto a Berlusconi uno spot della famosa campagna ‘Qui, Quo, Qua’ che per me è un capolavoro”.

E lui?

“Ferma tutto su un frame di un secondo. Si arrabbia: ‘Quel signore ha un giornale con un titolo negativo!'”

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Era vero?

“Si, ma non me ne ero accorto. Lo fa rigirare: stesso signore un altro giornale. Questa era l’attenzione per il dettaglio”.

Altro esempio? 

“Di nuovo un spot, e di nuovo un capolavoro: 15 secondi.

E lui?

“Crespi non va!”.

E tu?

Mi arrabbio: “Ma che dice?”. Lui non si scompone: ‘Rivediamolo senza audio'”.

Ed era vero?

“Il ritmo, il movimento, le luci erano come… fuori sync. Berlusconi dice: ‘Hai solo 15 secondi. Vai direttamente sul primo piano. Non perderti in immagini inutili'”. Era vero di nuovo.

Facevate molti sport.

“Così efficaci e così mirati che D’Alema si inventò la par condicio per bloccarli”.

Ed è qui ti guadagni lo stipendio.

“Gli propongo di sostituire la televisione con campagne di affissione collegate a giornate-evento, usandole come dei veri e propri tazebao”.

“Aneddoto cult. Il suo grafico, Ermolli, metteva tutte queste foto di Berlusconi ritoccando i capelli…”

E tu?

“Mi disperavo e gli dicevo: Dottore, è ridicolo. La gente la vede calvo e poi sul poster la trova così”.

E Berlusconi? 

“‘Hai ragione. Ma non togliamoli dai manifesti perché me li rimetterò io!'”

Ah ah ah…

“Ancora sui capelli: gli porto una parodia in cui gli hanno messo una chioma cespugliosa alla Hendrix”.

Reazione?

“Ride come un pazzo. Brain storming. ‘Facciamoci un premio!’. Rischiavamo il ridicolo, applicammo Sun Tsu: Ciò che non puoi combattere lo devi assorbire. Nasce il Berluscaizer”

E “Una scelta di campo”?

“Era suo. Non mi è mai piaciuto. La nave azzurra pure,  idea sua”.

Quanto avete speso?

“Boh… milioni di euro? Pagava Dell’Elce, che rigorosamente limava sempre tutto”.

Siamo alle Politiche 2001. 

“Per lui è la sfida con Rutelli. Per me è la sfida con Stan Greenberg, il guru americano di Clinton. È la Campagna perfetta, il culmine di sette anni di lavoro”.

Cosa gli proponi?

“Un poster con lo slogan: Meno tasse per tutti. Lui lo guarda e dice: ‘Geniale: com’è possibile che in 50 anni nessuno ci abbia pensato?'”.

E l’altro?

“Un leone, il simbolo, e la scritta: ‘Città sicure’. Tolse il leone e mise se stesso, aggiunse un ‘più'”.

contratto berlusconiE il contratto con gli italiani? 

“E’ entrato nel mito, ma l’originalità è stata nella confezione di quell’idea: un imprenditore che sigla un vero contratto con gli elettori. Gli dissi: ‘Deve firmarlo a San Siro, solenne, davanti a centomila persone'”.

E cosa non andò?

“Berlusconi lo raccontò a Vespa che gli disse: ‘Ottimo. Ma lo firmi da me’. Ero furibondo. Ma è stato meglio Porta a porta. Serviva la tv”.

Dopo la vittoria che succede?

“Tutto lo staff si è trovato impegnato in politica, in Parlamento o nel Governo, spostando l’attività da Milano a Roma. Io scelsi di rimanere nella mia azienda”.

Ubriacatura. 

“Infatti, avevo 40anni: mi ero scordato da quanto tempo non toccavo terra, non aprivo una portiera, non guidavo, non avevo soldi in tasca perché pagavano per me”.

Spiega.

“Avevo tre guardie del corpo, un battaglione di segretarie, non facevo file, 15 aziende nel mondo e 500 dipendenti, al tavolo con Berlusconi si decideva chi doveva fare il ministro e chi no”.

E cosa hai fatto?

“Un enorme passo più lungo del gamba, tento di quotare la mia azienda in Borsa nel boom della new economy, acquisto, inglobo ma a settembre crollano le Torri Gemelle, e con loro il mio castello di carte”.

Finisci indagato, nel 2003.

“Vengo arrestato nel 2005, il processo finisce nel giugno 2015”.

Conseguenze?

“Una ferita profonda per me e la mia famiglia, in seguito alla quale non ho più coltivato ambizioni imprenditoriali, una lezione durissima ma molte salutare. Ho ripreso dopo qualche tempo il mio lavoro di pubblicitario che mi ha portato a girare il mondo, l’Italia e tutti gli schieramenti politici”.

Ora che fai? 

“Ora faccio il pubblicitario ma ho iniziato ad occuparmi di formazione con Indexway”.

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Fai l’analisi di questo voto.

“Il caos. Vince chi sopravvive. Tutte le parole e gli slogan sono stati usati e distrutti nella crisi della seconda repubblica”.

E Renzi?

“Non ha uno storytelling”.

Lo aveva, però!

“Secondo me si è ritagliato addosso un clone del codice berlusconiano: il giubbotto di Fonzie invece del doppiopetto, gli 80 euro invece del milione di pensione minima ed il job act al posto del milione di posti di lavoro. Però è una copia”.

Perché?

“Il mito di se stesso, l’ossessione dei media (soprattutto quelle del Cavaliere), tutto ciò  che è prima di lui è male assoluto, la rottamazione del vecchio per un cambio di passo nel futuro esattamente come il nuovo miracolo italiano”.

 Ha funzionato…

“Funzionano i prodotti di cui c’è richiesta. Ma poi devi fare quello che dici. B. disse: ‘Per colpa dei miei alleati come Fini e Casini non sono riuscito a cambiare l’Italia! Matteo ha problemi con la Raggi o con rivali come Cuperlo e Stumpo’”.

Diverso?

“Dall’epica al grottesco. È il limite di Renzi”.

Quale? 

“Hai presente quelli che ti vendono il Folletto? Ti entrano a casa e ti convinci che non puoi vivere senza quell’aspirapolvere”.

Bravissimi.

“Oh certo! Poi capisci che fa un casino della Madonna, il cavo è corto, i sacchetti si rompono…. È la differenza fra un venditore e un comunicatore. Renzi appartiene alla prima categoria”.

Come lo spieghi? 

“Ha perso il controllo e assenza di senso critico intorno a se. La squadra di Berlusconi valeva dieci volte quella di Renzi”.

Non aveva la Boschi, il Cavaliere.

“La Carfagna vale dieci Boschi. La Boschi è protetta. Mara si è evoluta difendendosi”.

Vincono i leader che usano la seduzione.

“Era l’unico modello di comunicazione politica inventato nel mondo. Leggi il geniale Gadda di Eros e Priapo. Dentro c’è Mussolini, ma anche Berlusconi, un po’ Craxi, persino Obama”.

“Era”?

“Poi è nato Grillo: un leader informale, carismatico ma divergente. Lui utilizza se stesso come generatore di micro-leader”.

Merito suo?

“Di Casaleggio. Sai qualche anno fa l’ho incontrato”.

Davvero?

“Si. Non era ancora nessuno: solo un olivettiano bizzarro. Eravamo intorno a una tavola rotonda. Mi dice ‘Spostati, sei sulla sedia di Re Artù. La mia’. Esco e penso: Questo è fulminato ma simpatico. Il M5s ha un modello templare. Anche Virginia e Chiara sono paladine”.

La politica contaminata con la mistica.

“Non un leader ma un profeta”.

E che dubbio hai?

“Voi giornalisti esaltate la vittoria del M5s. Ma si sono presentati solo nel 20% dei comuni!”

Cosa vuoi dire?

“Per adesso il M5s di governo è solo una meravigliosa allucinazione”.

Però le due amazzoni hanno vinto.

“La Raggi si presenta come libera ma ha bisogno di tanti passaggi di controllo. Sotto la retorica della rete un modello elitario. Ricordati che Casaleggio ha fatto ritirare la Bedori perché era grassa”.

Non avrebbe vinto?

“Secondo loro no. Le due paladine possono produrre un ‘gang vagon’, effetto emulazione. Ma governare è diverso”.

Perché? 

“Guarda la Raggi. È bellissima, una icona fantastica. Può fare solo meglio degli altri. Ma sarà misurata sulle aspettative che ha generato non su risultati comparati”.

Sei sicuro?

“Siamo nel tempo del racconto. Tutto si può generare perché non c’è memoria: la posta si conserva i post no”.

E non la aiuta?

“Renzi dice agli elettori: ‘Ti ho dato gli ottanta euro!!’. E quelli: ‘Ma io in tasca non li ho’. Grida: ‘Ho prodotto 200mila posti di lavoro!’. E quelli: ‘Ma io sono disoccupato’.

Morale?

“Nel tempo dello storytelling finiscono le appartenenze, i voti sono mobili, è più facile generare aspettative. Ma basta un secondo per deluderle”. (Articolo tratto dal quotidiano Libero)

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