“Entro due settimane salta tutto”. Dieci dissidenti pronti alla fuga

“Entro due settimane salta tutto”. Dieci dissidenti pronti alla fuga
12 settembre 2015

di Carlantonio Solimene

Se non fosse che si sta parlando di una pattuglia di parlamentari che, tra Camera e Senato, conta la bellezza di una settantina di aderenti, la questione sembrerebbe comica. Sì, perché parlare di quattro o cinque correnti in un partito che, stando ai sondaggi del dopo-vacanze, “vanta” un consenso intorno al 2% è un po’ paradossale. Ma sono state proprio queste rilevazioni a scatenare il putiferio tra gli alfaniani. C’è chi, come Euromedia, stima Ncd e Udc all’1,8%. Chi, come Datamedia, li innalza fino al 2,5. La sostanza non cambia: con simili numeri non ti salva neanche quell’Italicum che prevede una soglia tutto sommato accessibile, il 3%. Così, di fronte a queste cifre, è scattato il liberi tutti. “Entro due settimane il partito salta in aria” annunciano i più bellicosi. “Non se ne parla, il redde rationem ci sarà col referedum sulle riforme, nell’autunno 2016” frenano i governativi. Su una cosa, però, tutti sono d’accordo. Il progetto Ncd è destinato a morire. Con buona pace di Angelino Alfano che, in poco più di un anno da ministro del governo Renzi, ha provato a intestarsi tutti i presunti successi del premier. “L’addio all’art. 18? Era nel nostro programma!”; “la responsabilità civile del magistrati? Merito di Ncd!”; e ancora: “Via la Tasi? L’abbiamo preteso noi!”. Vero? In parte sì, ma l’elettorato centrista a un certo punto si sarà convinto che, dato che Renzi stava realizzando tutto il programma del centrodestra, tanto valeva votare il premier e non il suo alleato di governo.

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Al Nuovo Centrodestra restava solo un “core business”: la difesa della famiglia a tutti i costi. Fino a quando, però, l’Angelino ha detto che, sul ddl unioni civili, avrebbe lasciato libertà di coscienza ai suoi. Perché il ministro dell’Interno ha “cambiato verso”? Qualcuno ha paventato l’esistenza di una lista di 10-15 esponenti pronti a essere ospitati nelle liste Pd alle prossime Politiche (Lorenzin, Chiavaroli, Bianconi, lo stesso Alfano), ma sono piovute le smentite. Anche perché, sondaggi alla mano, a Renzi una contaminazione simile toglierebbe voti più che aggiungerli. Come che sia, è stato uno choc, soprattutto per l’ala catto-lombarda dei vari Lupi e Formigoni. Sono loro, con l’aggiunta di Giovanardi e degli schifaniani (tre? quattro?) i sei o sette senatori che alla fine potrebbero davvero provare a dare il colpo di grazia al governo sulla riforma di Palazzo Madama. Perché Schifani? Perché da quando la sua ex fedelissima Simona Vicari, sottosegretario allo Sviluppo, si è iscritta ai “renziani”, l’ex presidente del Senato ha di fatto perso l’unico posto di governo che poteva vantare. E a farlo “ministro del Sud”, come pure avrebbe chiesto, Renzi non ci pensa neanche lontanamente.

Le conseguenze di un voto contro sulle riforme potrebbero essere le più disparate. C’è chi dice che non accadrebbe nulla, perché ci penserebbe Forza Italia, con qualche assenza strategica, a soccorrere il governo. E perché tra i senatori conterà soprattutto la paura della fine anticipata della legislatura, che per molti vorrebbe dire addio al vitalizio. Ma, di fatto, il voto contrario significherebbe addio al partito. Per andare dove? Le più fortunate sono state De Girolamo e Saltamartini, che hanno abbandonato la barca in tempo per trovare ospitalità in Forza Italia e Lega. Ma Berlusconi ora non vorrebbe riprendersi altri “traditori”. Verdini se li prenderebbe eccome, ma non avrebbe senso: andare via dalla maggioranza e continuare a votare col governo? Salvini, specie per i meridionali, resta un’opzione indigeribile. Rimarrebbe Fitto, che qualche voticino al Sud ce l’ha. Ma, anche in quel caso, con poche garanzie di rielenzione. Da un partitino all’altro: la triste fine di una storia nata male. E continuata peggio.

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