A Gabrielli non va giù l’accusa: “Fare i nomi non è un errore, tutti i poliziotti sono a rischio”

A Gabrielli non va giù l’accusa: “Fare i nomi non è un errore, tutti i poliziotti sono a rischio”
24 dicembre 2016

“Non c’è alcuna esposizione, ma un riconoscimento chiaro. Una sottolineatura per mettere al centro chi ha reso possibile tutto questo, rischiando la propria vita”. Risponde così il capo della Polizia Franco Gabrielli, alla valanga di accuse per aver reso pubblici, assieme al premier Paolo Gentiloni, i nomi dei due agenti  che hanno bloccato e ucciso il tunisino Anis Amri a Sesto San Giovanni. In pratica, in molti hanno criticato la decisione – rendere pubblici i nomi – perché, a loro avviso, avrebbe messo a rischio la vita dei due poliziotti.

TUTTI SONO A RISCHIO “Fare i nomi con questo tipo di terrorismo – spiega il capo della Polizia – non è né un errore, né un’esposizione, perché non siamo in presenza di un terrorismo come quello che abbiamo conosciuto negli anni settanta, un terrorismo endogeno che ha interesse a colpire il singolo, dunque Franco piuttosto che Mario o Cristian. Qui ci troviamo di fronte a qualcosa di diverso”. In sostanza, un’accusa che non è piaciuta a Gabrielli, secondo il quale la preoccupazione “non è per le individualità, ma per l’appartenenza: sono a rischio tutti coloro che rappresentano le forze di polizia e hanno una divisa”. Per questo ieri mattina, a poche ore dalla sparatoria di Sesto, Gabrielli ha firmato la circolare in cui chiede “massima attenzione” perché non è possibile escludere “azioni ritorsive” nei confronti delle forze di polizia.

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FACEBOOK La scelta di chiudere i profili social dei due poliziotti, inoltre, è una forma di “ulteriore cautela” nei loro confronti, “per evitare una eccessiva sovraesposizione in quanto, in un mondo in cui tutto passa attraverso i social, si sarebbero potuti far prendere la mano coinvolgendo anche altri colleghi”. E poi “sono sette mesi – prosegue Gabrielli – che dico ‘attenzione, ognuno di noi può essere un obiettivo’. Ma sono anche mesi che lavoro sull’orgoglio e sul senso di appartenenza dei poliziotti e degli uomini e delle donne delle forze di polizia e, nel momento in cui è fondamentale tenere alto l’orgoglio di chi vive con la divisa, il ministro non ha fatto altro che galvanizzare chi ogni giorno opera indossando proprio una divisa”. Dunque nessuna esposizione e polemiche inutili. “E’ abbastanza avvilente – conclude il capo della Polizia – che mentre tutto il mondo parla di noi e si complimenta con la Polizia per il lavoro svolto, noi continuiamo a farci del male guardando il dito e non la luna”.

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