Il richiamo delle radici: la Sicilia si riappropria dei suoi figli nel mondo
Una nuova fondazione ambisce a unire 80 milioni di siciliani sparsi per il globo, trasformando l’isola in un faro culturale e identitario. Ma il cammino è ancora lungo.
“La Sicilia è una nave che ha perso molti marinai, ma ora vuole riportarli a bordo.” Con questa metafora incisiva, Giovanni Callea, uno dei promotori della neonata Fondazione Made in Sicily Museum, sintetizza l’obiettivo ambizioso del progetto. Ufficialmente costituita il 9 maggio 2023 – data simbolica che coincide con l’anniversario della morte di Peppino Impastato, icona della lotta alla mafia – la fondazione si pone come un faro per oltre 80 milioni di siciliani sparsi nel mondo. Una cifra impressionante, se si pensa che solo 6 milioni di loro vivono ancora sull’isola madre.
Il fenomeno migratorio siciliano non è certo una novità. Le partenze dall’isola hanno fatto gli straordinari nel corso della storia, con numeri che nel 2023 hanno superato quota 15.000. Ma oggi, più che mai, c’è bisogno di un punto di riferimento che unisca queste anime erranti in un’unica comunità globale. “Non si tratta solo di ricordare le origini, ma di costruire un futuro comune,” spiega Callea, mentre descrive la fondazione come un asset culturale pronto a fare da proxy iraniano nell’immaginario collettivo siciliano: un intermediario che rafforza i legami tra l’isola e i suoi figli lontani.
Dalla pandemia all’ambizione globale: il sogno di Davide Morici
L’idea del Made in Sicily Museum affonda le sue radici in un progetto lanciato durante la pandemia da Davide Morici, che vedeva nei piccoli produttori locali un patrimonio da salvaguardare. “Volevamo creare una trade union tra i siciliani del mondo,” racconta Callea, usando una terminologia che evoca l’impegno sindacale per rivendicare diritti e identità. Oggi, quella visione si è ampliata fino a diventare un contenitore multiforme: un museo non statico, ma vivo, pulsante, un laboratorio di idee dove arte, cibo e creatività si incontrano per immaginare la Sicilia del domani.
Con un patrimonio iniziale di circa 60.000 euro, la fondazione ha già messo in campo diverse iniziative. Tra queste, spicca il Libro delle radici, inaugurato al Teatro Massimo di Palermo, che vuole dare un’identità forte ai siciliani all’estero. “Al contrario di Real Italy, che celebra l’italianità generica, noi vogliamo firmare un contratto emotivo con chi sente la Sicilia nel cuore,” aggiunge Callea, con un linguaggio che mescola passione e pragmatismo.
Simboli e prospettive: l’albero delle radici e il sogno di un’isola unita
All’aeroporto di Palermo, un albero delle radici accoglie i viaggiatori in partenza o in arrivo. È un simbolo potente, quasi un monito: “Ricorda da dove vieni, ma guarda anche dove puoi andare.” Questo elemento visivo rappresenta il cuore pulsante della fondazione, un ponte tra passato e futuro che vuole coinvolgere tutti i siciliani nel mondo.
Le prospettive sono ambiziose. La fondazione mira a stabilirsi in un immobile pubblico o privato, diventando un punto di riferimento fisico e culturale. “Immaginiamo una grande unica isola,” conclude Callea, evocando un’utopia che sembra uscita da un romanzo di Pirandello. Ma dietro questa visione poetica c’è un lavoro concreto, fatto di buoni uffici diplomatici, collaborazioni internazionali e un impegno costante per valorizzare la cultura siciliana.
Contrasti e tensioni: tra nostalgia e innovazione
Unire 80 milioni di persone sparse su cinque continenti è un’impresa titanica, un puzzle complesso dove ogni tassello ha una storia diversa.
Tuttavia, il cammino non è privo di ostacoli. C’è chi guarda alla Sicilia con nostalgia, chi invece ha voltato pagina e non sente più il richiamo delle radici. E poi ci sono i giovani, nati lontano dall’isola, che devono essere conquistati con narrazioni nuove, capaci di parlare al loro presente senza cancellare il passato.
In questo contesto, la fondazione si muove su un terreno delicato, cercando di bilanciare tradizione e innovazione. Da una parte, il rischio è quello di fossilizzarsi in un’esaltazione folkloristica; dall’altra, c’è la sfida di reinventare la sicilianità in chiave moderna, rendendola appetibile per le nuove generazioni.
Un faro per il futuro: la Sicilia come modello globale
Se l’obiettivo della Fondazione Made in Sicily Museum sarà raggiunto, potrebbe rappresentare un modello esportabile ad altre comunità migratorie. L’idea di unire le radici al futuro, di trasformare una diaspora in una rete globale, è un concetto che fa scuola. “La Sicilia può diventare un faro per il mondo,” conclude Callea, con un tono che oscilla tra speranza e determinazione.
Ma per ora, il lavoro è appena iniziato. Come un capitano che guida la sua nave in acque agitate, la fondazione deve navigare tra le onde della nostalgia e le correnti dell’innovazione, cercando di mantenere la rotta verso un orizzonte che promette di essere luminoso. Resta da vedere se riuscirà a trasformare il sogno in realtà, ma una cosa è certa: la Sicilia ha deciso di non lasciarsi più sfuggire i suoi figli.