La Germania ripristina i controlli alle frontiere. E copia l’Italia

La Germania ripristina i controlli alle frontiere. E copia l’Italia
10 settembre 2024

La Germania si prepara a intensificare i controlli temporanei alle frontiere interne per arginare l’immigrazione irregolare e rafforzare la sicurezza nazionale contro potenziali minacce terroristiche di matrice islamica. Questa decisione, presa dalla ministra dell’Interno Nancy Faeser e già notificata alla Commissione Europea, sarà in vigore per sei mesi a partire dal 16 settembre 2024. Il governo guidato da Olaf Scholz ha ritenuto necessario questo provvedimento in un momento di crescente pressione politica interna e di una sempre più rilevante sfida elettorale posta dall’estrema destra dell’AfD (Alternativa per la Germania), che continua a guadagnare consensi sfruttando proprio la questione migratoria.

La sfida elettorale dell’AfD

L’AfD ha ottenuto risultati impressionanti nelle recenti elezioni regionali in Sassonia e Turingia, riuscendo a intercettare il malcontento popolare legato alla gestione dell’immigrazione. Il successo dell’AfD ha scosso Berlino e Bruxelles, mettendo in discussione le attuali politiche migratorie del governo federale e dell’Unione Europea. Il timore crescente è che l’AfD, cavalcando la retorica nazionalista e anti-immigrazione, possa continuare a guadagnare terreno in vista delle elezioni federali del 2025.

Le elezioni regionali hanno anche messo sotto pressione il governo di Scholz, che si trova di fronte alla necessità di rispondere alle richieste della popolazione preoccupata per la sicurezza e il controllo dei flussi migratori. In questo contesto, la decisione di intensificare i controlli alle frontiere è vista come una mossa per contenere la crescita dell’AfD, mostrandosi più incisivi nella gestione dell’immigrazione irregolare e nella prevenzione del terrorismo. In particolare, il governo tedesco è preoccupato dalla percezione che l’immigrazione incontrollata possa essere correlata a un aumento delle minacce terroristiche, un timore alimentato dal recente attentato jihadista a Solingen.

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L’attentato jihadista e la sicurezza interna

Un evento che ha contribuito ad accelerare la decisione di Berlino è stato l’attentato jihadista avvenuto nella città di Solingen. Qui, un rifugiato siriano, che avrebbe dovuto essere espulso secondo le normative vigenti, ha compiuto un attacco che ha provocato la morte di tre persone. Questo tragico episodio ha riacceso il dibattito sulla sicurezza interna e sull’efficacia delle politiche migratorie. Il legame tra immigrazione irregolare e terrorismo è stato uno degli argomenti centrali sfruttati dall’opposizione, in particolare dalla CDU (Unione Cristiano-Democratica), per fare pressione sul governo e chiedere misure più severe.

Il leader della CDU, Friedrich Merz, ha fatto eco a queste preoccupazioni chiedendo di proteggere in modo più efficace le frontiere esterne dell’Unione Europea. Merz ha lanciato un ultimatum al governo Scholz e ai vertici dell’UE, avvertendo che se le misure a livello europeo non dovessero rivelarsi sufficienti, la Germania sarebbe costretta a intensificare i controlli ai propri confini interni. Le sue dichiarazioni sono state un preludio alla decisione di Faeser di sospendere temporaneamente Schengen, ripristinando i controlli a tutte le frontiere della Germania.

I controlli alle frontiere e le misure aggiuntive

Il ripristino dei controlli alle frontiere, misura già applicata in passato sui confini con Polonia, Repubblica Ceca e Austria, rappresenta una mossa simbolica e pratica per frenare l’immigrazione irregolare. Tuttavia, la stretta non si ferma qui. Oltre ai controlli intensificati, il governo tedesco ha deciso di adottare una serie di misure restrittive per gestire meglio il fenomeno migratorio e aumentare la sicurezza interna. Tra queste misure, vi è un taglio agli aiuti economici destinati ai richiedenti asilo che si trovano in Germania, ma che dovrebbero essere gestiti da altri Stati membri dell’Unione Europea in base agli accordi di Dublino.

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Inoltre, il governo tedesco prevede di accelerare le procedure per il rimpatrio dei cosiddetti “dublinanti”, ossia i migranti che dovrebbero essere trasferiti nei Paesi di primo approdo. Questa politica ha già innescato tensioni con l’Italia, che si oppone al rimpatrio di circa 20.000 migranti attualmente in Germania. Anche l’Austria ha reagito duramente, con il ministro dell’Interno Gerhard Karner che ha dichiarato che Vienna non accetterà nessun migrante respinto dalla Germania, sottolineando che “non c’è spazio di manovra” su questa questione.

Parallelamente, verranno facilitate le espulsioni di quei richiedenti asilo che dovessero commettere reati o essere trovati in possesso di armi o oggetti pericolosi. L’Associazione dei comuni tedeschi ha già chiesto l’istituzione di una task force federale per le deportazioni, con l’obiettivo di accelerare i processi di rimpatrio e renderli più efficienti.

Un possibile accordo con il Ruanda

Un altro tema al centro del dibattito è l’ipotesi di un accordo tra Germania e Ruanda. Berlino starebbe valutando la possibilità di utilizzare le infrastrutture costruite in Ruanda nell’ambito del controverso accordo che il Paese africano aveva siglato con il Regno Unito. Questo piano, promosso dai precedenti governi conservatori britannici, prevedeva il trasferimento in Ruanda di richiedenti asilo arrivati illegalmente nel Regno Unito, ma è stato abbandonato dal nuovo governo laburista di Keir Starmer.

La notizia di un possibile accordo tra Berlino e Kigali ha sollevato polemiche in Gran Bretagna, soprattutto tra i conservatori, che hanno criticato Starmer per aver cancellato un progetto che, secondo loro, avrebbe potuto dissuadere l’immigrazione illegale. Robert Jenrick, ex ministro e candidato alla leadership del Partito Conservatore, ha attaccato il premier laburista, accusandolo di lassismo e dichiarando che il piano Ruanda avrebbe dovuto essere reso più severo, non abbandonato. Dal canto suo, Starmer ha evitato di commentare la vicenda, limitandosi a dichiarare tramite una portavoce di Downing Street che il governo non interviene su accordi bilaterali tra altri Stati.

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Le tensioni tra gli Stati membri dell’Ue

Le nuove politiche di Berlino hanno riacceso le tensioni tra gli Stati membri dell’Unione Europea sulla gestione dei flussi migratori. L’Ungheria, ad esempio, ha reagito con una provocazione: dopo aver minacciato di trasferire i migranti dal confine con la Serbia a Bruxelles come ritorsione per una multa di 200 milioni di euro inflitta dall’UE, il governo ungherese ha già organizzato i primi pullman per trasportare i migranti verso la capitale europea.

Questo clima di tensione mette in evidenza le profonde divisioni interne all’Unione Europea sulla questione migratoria, con alcuni Paesi, come l’Ungheria, che adottano una linea dura, mentre altri, come la Germania e l’Italia, si scontrano su come gestire la redistribuzione dei migranti. Le nuove misure di Berlino rappresentano un ulteriore tentativo di trovare soluzioni nazionali a una crisi che richiede invece un approccio comune e coordinato a livello europeo. Tuttavia, la strada verso una gestione unitaria e solidale della migrazione sembra ancora lontana.

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