Nel 73% di negativizzati virus rimane nelle feci

Nel 73% di negativizzati virus rimane nelle feci
7 maggio 2020

Chi è stato contagiato da coronavirus anche in caso di tampone negativizzato potrebbe essere ancora in grado di infettare. E` quanto emerge da uno studio condotto da Altamedica Medical Center di Roma, che ha esaminato l`epoca di comparsa e di scomparsa del virus dall`organismo del soggetto. Partendo dal presupposto che il Covid-19 non si trasmette solo per le vie respiratorie ma anche attraverso le feci, l`indagine condotta su 15 persone con tampone naso-faringeo positivo ha rivelato che: mentre il virus presente nel tratto respiratorio tende a scomparire piuttosto presto, nel 73% dei casi a distanza di due settimane dal primo tampone positivo il virus permane nelle feci dei soggetti nonostante il secondo tampone sia stato negativo; nel 40% dei soggetti il virus è stato riscontrato nelle feci fino a 40 giorni dopo.

“Infezioni come queste sono definite a trasmissione oro-fecale, il virus alberga nella bocca e nell`intestino e il contagio avviene attraverso entrambe le vie, sebbene quella fecale sia stata ampiamente sottovalutata – spiega Claudio Giorlandino, ginecologo, Direttore Sanitario Gruppo Sanitario Altamedica e direttore generale dell`Italian College of Fetal Maternal Medicine – . Inoltre, come è stato dimostrato il virus perdura nell`intestino e si elimina nelle feci per diverse settimane dopo che scompare nel tampone, per cui un soggetto ormai ritenuto non infettivo in realtà lo è; ciò significa che i due tamponi negativi e la convalescenza non sono assolutamente garanzia di assenza di contagiosità. Mentre sarà sufficiente un semplice errore nell`igiene personale a condurre a una reinfezione endogena. A questo punto per prevenire nuovi contagi i soggetti tampone-positivo andrebbero sottoposti anche a tampone rettale”.

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Ma il virus che si riscontra nell`intestino è ancora infettante? “Il riscontro dopo un lasso di tempo piuttosto prolungato depone per il fatto che questo si stia ancora replicando nell`intestino e sia quindi attivo e contagioso – spiega l`esperto – è, infatti, ipotizzabile che, per quelle quote virali che giungono nell`intestino dopo essere passate nel processo digestivo con gli acidi, gli enzimi, probabilmente siano denaturate. È lecito, quindi, ipotizzare che, benché una parte del virus verrà inattivato, una maggiore quota riesca a superare la neutralizzazione dell`acido cloridrico e, giunto nell`intestino tenue o meglio nel crasso, possa continuare a replicarsi. Di questo ne sono prova anche i disturbi intestinali prolungati di soggetti che presentano la malattia”.

“Pertanto – osserva ancora Giorlandino – i futuri sforzi per la prevenzione e il controllo del coronavirus devono tenere in considerazione il potenziale di diffusione mediata dalle feci di questo virus. Se è vero, come risulta di tutta evidenza, che il virus liberato all`esterno con le feci, per lungo tempo dopo la scomparsa dall`orofaringe, è ancora infettante la dinamica della prosecuzione della pandemia appare assumere un profilo molto preoccupante e finora non tenuto in nessun conto con aggravio del pericolo sociale dal momento che l`agente virale tornerà sulla superficie delle mucose naso-oro-faringee per essere nuovamente liberato nell`ambiente e trasmesso ai non immuni. Anche per ottenere il patentino di immunità completa a questo punto servirà una duplice condizione: presenza di anticorpi di classe G con attenuazione/ scomparsa degli anticorpi di classe M e assenza del virus nelle feci”. Lo studio è stato sottoposto al Journal of Virology.

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