La tragedia della dottoressa Alaa al-Najjar: “Nove figli uccisi in un raid israeliano”

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Un venerdì come tanti altri nell’inferno di Gaza si è trasformato nel giorno più buio per la dottoressa Alaa al-Najjar, pediatra 38enne dell’ospedale Nasser di Khan Younis. Mentre prestava le consuete cure ai piccoli pazienti feriti, non poteva immaginare che le ambulanze in arrivo trasportassero i corpi dei suoi stessi figli.
La tragedia si è consumata quando un raid aereo israeliano ha colpito in pieno la sua abitazione, dove il marito Hamdi, anch’egli medico, era rientrato insieme ai loro dieci bambini dopo aver accompagnato la moglie al lavoro. L’attacco ha provocato un violento incendio, trasformando la casa in un cumulo di macerie fumanti.

Il drammatico riconoscimento

“Quando ha visto i corpi carbonizzati dei suoi figli, è crollata a terra priva di sensi”, racconta un collega presente al momento del drammatico riconoscimento. I piccoli Yahya, Rakan, Ruslan, Jubran, Eve, Revan, Sayden, Luqman e Sidra, di età compresa tra i 12 anni e i 6 mesi, sono stati tutti uccisi nell’attacco. I due più piccoli, tra cui un neonato di appena sei mesi, sono rimasti intrappolati sotto le macerie, morti sul colpo. Solo Adam, 11 anni, è sopravvissuto, ma in condizioni critiche. Anche il padre Hamdi è stato ricoverato con gravi ustioni e ferite multiple. I medici dell’ospedale Nasser, colleghi di Alaa, hanno tentato disperatamente di salvare i bambini, ma per sette di loro non c’è stato nulla da fare.

L’esercito israeliano ha comunicato di aver colpito “oltre 100 obiettivi nella Striscia” durante le operazioni di venerdì, sostenendo di aver preso di mira “edifici utilizzati da gruppi terroristici, tunnel e siti di lancio dei razzi”. Per la famiglia al-Najjar, uno di quegli “obiettivi” era la loro casa. “La famiglia non aveva alcun legame con Hamas o altri gruppi armati”, affermano i colleghi della coppia, consapevoli che anche il più labile sospetto potrebbe essere utilizzato per giustificare l’uccisione di nove bambini innocenti. “Alaa aveva partorito il suo ultimo figlio solo sei mesi fa e, nonostante tutto, era tornata rapidamente al lavoro per l’emergenza sanitaria a Gaza”.

Palestinesi come scudi umani

La stessa giornata ha visto anche la morte di Yaqeen Hammad, giovane attivista e volontaria umanitaria conosciuta per i suoi video-racconti sulla vita quotidiana a Gaza. Un missile ha centrato la sua abitazione a Deir al-Balah, uccidendola sul colpo. Altre cinque persone sono morte e cinquanta sono rimaste ferite mentre si trovavano vicino ai pochi camion che distribuivano farina nella zona umanitaria di al-Mawasi. Secondo un’inchiesta pubblicata dall’Associated Press, l’utilizzo di civili palestinesi come scudi umani sarebbe diventata una pratica sistematica per l’esercito israeliano. “Gli ordini spesso arrivavano dall’alto, e quasi ogni plotone impiegava un palestinese per sgomberare una posizione”, ha rivelato un ufficiale israeliano rimasto anonimo. Nadav Weiman, direttore di Breaking the Silence, ha definito questi episodi “un orribile collasso morale”.

Nel frattempo, la situazione umanitaria a Gaza continua a deteriorarsi drammaticamente. L’ospedale al-Awda, nel nord della Striscia, è sotto assedio, con bombardamenti che impediscono alle ambulanze di soccorrere i feriti. Gli aiuti umanitari entrano con il contagocce, mentre le Nazioni Unite lanciano allarmi sulla catastrofe in corso. Un sondaggio pubblicato dal sito israeliano N12 rivela che il 53% dei cittadini israeliani ritiene che il premier Benjamin Netanyahu stia ritardando deliberatamente la liberazione degli ostaggi per rimanere al potere. Il bilancio complessivo delle vittime a Gaza, secondo le fonti palestinesi, ha ormai superato le 53.900 persone.

La controversa fondazione statunitense

A complicare ulteriormente il quadro, nei prossimi giorni la gestione degli aiuti alimentari dovrebbe passare nelle mani di una controversa fondazione statunitense (GHF), sollevando preoccupazioni tra le organizzazioni umanitarie internazionali sulla reale capacità di far fronte all’emergenza. Secondo documenti riservati ottenuti dal Washington Post, persino i responsabili della fondazione nutrirebbero seri dubbi sulla buona riuscita del progetto. Per la dottoressa Alaa al-Najjar, tuttavia, queste considerazioni politiche sono ora lontane. Il suo mondo si è fermato in quel venerdì di maggio, quando ha scoperto che quei piccoli corpi martoriati che tentava disperatamente di salvare erano i suoi stessi figli. Governo, con il sostegno degli Stati uniti, punta tutto sul suo nuovo “meccanismo”, escludendo Onu e associazioni umanitarie, in quella che potrebbe trasformarsi in una tragedia ancora più grande per il popolo palestinese.