Mentre le piazze del Primo Maggio risuonavano di slogan sulla dignità del lavoro, il compagno Maurizio Landini si esibiva nel suo numero migliore: puntare il dito contro chi sta nei “palazzi”, dimenticando comodamente che la sua scrivania da segretario della Cgil poggia su un piedistallo sempre più alto. “Non so dove vivono loro, non so in quale palazzo si sono chiusi”, tuona contro la Meloni con la sicumera di chi parla dalla trincea.

Peccato che la sua trincea sia foderata con 257 euro in più al mese, gentile cadeau che il sindacato rosso gli ha recapitato lo scorso novembre. Un aumento che porta il suo stipendio a 7.616 euro lordi mensili, con un netto di 4.021 euro che lascia ben poco spazio a lacrime e singhiozzi per l’indigenza. Mentre pontifica sull’Italia dei salari bloccati, dimentica curiosamente di menzionare che nel suo microuniverso sindacale l’ascensore economico funziona eccome, e pure bene. Quelle stesse 300 euro che molti lavoratori sognano come un miraggio, lui se le ritrova in busta paga con la naturalezza di chi ritiene sia semplicemente il giusto compenso per le sue fatiche da tribuno del popolo.
La tragicommedia raggiunge il suo apice quando immaginiamo il nostro eroe rosso che, dopo aver tuonato dal palco contro i privilegi, torna a casa contando mentalmente quanto il suo stipendio sia lievitato rispetto all’anno precedente. “I lavoratori non arrivano a fine mese”, predica con fervore. Certo, compagno Landini, ma tu ci arrivi comodamente, e con qualche centinaia di euro di scorta per il mese successivo. Il paradosso è servito su un piatto d’argento: mentre i suoi compagni di tessera faticano con retribuzioni che spesso non superano i 1.200 euro, il loro paladino intasca un mensile che molti considererebbero principesco. E mentre grida all’ingiustizia sociale, il suo conto in banca sorride silenziosamente.
La Cgil, che sembra sempre più trasformarsi in un’elegante appendice del salotto radical chic della Schlein, sembra aver smarrito la bussola della coerenza. O forse l’ha semplicemente riposta nel cassetto, come un cimelio d’altri tempi, troppo scomodo da esibire mentre si gode l’aumento. Il buon Maurizio dovrebbe forse fare un bagno di umiltà e riconoscere che quel “palazzo” che tanto disprezza ha un nome e un indirizzo ben precisi: Corso d’Italia 25, Roma, sede centrale del suo sindacato. Un edificio dove evidentemente i salari crescono rigogliosi, in barba alla stagnazione che affligge il resto del paese.
La prossima volta che Landini vorrà dare lezioni su come si vive con stipendi da fame, farebbe bene a ricordarsi che la credibilità è come la verginità: una volta persa, non torna più. E con 300 euro di aumento in tasca, predicare austerità agli altri ha il sapore amaro della beffa. In questa commedia all’italiana, il nostro sindacalista recita la parte del povero mentre intasca lo stipendio del benestante.