Mafia, avevano già le “mani in pasta”: 91 arresti

12 maggio 2020

Controllo di società commerciali, acquisti di immobili, interessi nella vendita di orologi preziosi e del caffè, controllo delle gare ippiche a Milano e in provincia di Savona, ma anche, a Palermo, la gestione dello storico `pizzo’ ed il capillare controllo del territorio oltre che l’assunzione di personale vicino alle cosche. E’ impressionante il numero di reati contestati ai 91 indagati nell’ambito dell’operazione “Mani in pasta” eseguita dalla Guardia di Finanza sotto il coordinamento della Procura distrettuale Antimafia di Palermo. Per `spezzare’ il filo di interessi illeciti che lega la Sicilia alla Lombardia, ed in particolare con Milano, sono serviti 3 anni e mezzo di indagini delle fiamme gialle, che non hanno potuto contare sull’aiuto di nessuno, se non della propria imponente banca dati e di intercettazioni telematiche e telefoniche e delle dichiarazioni di una manciata di collaboratori di giustizia fra i quali spicca il nome di Vito Galatolo, profondo conoscitore della famiglia mafiosa dell’Acquasanta guidata dai Fontana.

“Questa indagine ha fatto emergere come siano sempre pochi i soggetti che effettuano denunce a seguito delle estorsioni subite”, ha detto il procuratore di Palermo, Francesco Lo Voi, nel corso della prima inedita conferenza stampa da remoto svoltasi oggi, con la partecipazione dell’Aggiunto, Salvatore De Luca, del Generale, Giovanni Padula e del Tenente Colonnello, Saverio Angiulli. “C’è ancora tanto altro da scoprire”, è stato detto ma viste le chiare intenzioni delle cosche di infiltrarsi in questo periodo di crisi si è preferito mettere un primo punto fermo. I clan mafiosi sarebbero pronti ad approfittare della crisi provocata dall’emergenza Covid-19, per “dare la caccia alle aziende in stato di necessità” ha scritto il Gip di Palermo, Piergiorgio Morosini, nell’ordinanza di custodia cautelare, ordinando anche il sequestro di beni per 15 milioni di euro. “Il modus operandi dell’organizzazione mafiosa, capace di entrare in contatto con tutti i settori – ha spiegato Lo Voi – costituisce un rischio aggravato quando riprenderanno le attivita’ che hanno subito le conseguenze del lockdown”, ha aggiunto.

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“Nel contrattare con alcuni interlocutori del nord Italia – ha spiegato De Luca – i rappresentanti di Cosa nostra avevano cura di rassicurarli sul fatto che non avevano problemi economici perché lavoravano in contanti. E se vai da un imprenditore e gli dici che operi in contanti ci si rende conto della pericolosità di questi interventi…”. Secondo il pm l’organizzazione si starebbe muovendo con violenza e minaccia per compiere operazioni avvolgenti per inserirsi nelle imprese in crisi ed impossessarsene e far tornare di moda la vulgata che “la mafia da lavoro. Bisogna evitare che accada. Queste è un primo passo per evitare che sciocchezze del genere si possano dire”. Fra i reati contestati agli indagati, oltre all’associazione mafiosa, figurano riciclaggio, intestazione fittizia di beni, estorsioni, frodi sportive, giochi illeciti, truffe all’erario, spedizioni punitive e illecita concorrenza. Il tutto avveniva “con il ricorrente supporto di una serie di soggetti concorrenti e compiacenti, anche professionisti, non solo su Palermo ma anche a Milano dove alcuni componenti della famiglia Fontana si erano trasferiti” ha rilevato Lo Voi, segnalando che il “controllo del territorio era così capillare al punto da autorizzare e controllare anche i banchetti di vendita nei mercatini rionali”, pure le “le carrettedde, i carrelli che nel mercato servono per trasportare la merce. Anche questi controllati da cosa nostra”.

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Il clan, secondo l’accusa avrebbe gestito pure il circuito produttivo dei cantieri navali di Palermo attraverso di cooperative curate da prestanome. Fuori dall’isola, la famiglia mafiosa era dedita ad acquisto di immobili ma anche di un negozio di orologi di lusso che movimentata molto denaro anche con la Russia, ma su questo ci sono indagini in corso. Quel che è stato accertato è che la compravendita di orologi di valore o da collezione avveniva con bonifici on line da società londinesi, e poi, in contanti, il denaro finiva nella cassa della famiglia Fontana. Gli stessi Fontana, mentre gestivano le `riffe’ a Palermo per far fronte alle necessità dei familiari dei detenuti, si sarebbero pure occupati di alterare la regolarità di vari gare ippiche in tutta Italia con fantini compiacenti che venivano remunerati. Nel ringraziare i 500 militari delle fiamme gialle che hanno operato, il generale Padula, parlando dei mafiosi, ha detto “siamo stati la loro interfaccia. Li abbiamo setacciati in modo occulto. Abbiamo un supporto di prevenzione nell’antiriciclaggio che è un arma micidiale” aggiungendo che è stato spezzato il criminale “filo comune che lega Sicilia e nord Italia.

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