Mafia, cerchio più stretto intorno a Messina Denaro

Mafia, cerchio più stretto intorno a Messina Denaro
20 novembre 2014

E’ tra gli uomini più ricercati al mondo, e il suo nome, come già accaduto per quello di altri storici capi di Cosa nostra prima di lui, è divenuto negli ultimi 21 anni sinonimo d’inafferrabilità. E’ “Diabolik”, “U’ siccu”, “Testa dell’acqua”, solo per citare alcuni dei soprannomi affibbiati a uno dei capomafia latitanti più pericolosi ancora in circolazione: Matteo Messina Denaro. Il 52enne boss trapanese è l’ultimo depositario della pesante eredità corleonese di Totò Riina e Bernardo Provenzano. Un abile “manager” capace di gestire e far muovere, al riparo di una coltre impenetrabile di canali e di poteri, quella macchina macina milioni di euro che oggi rappresenta la “mafia spa”. Eppure questo alone di mistero, questo sistema di difesa inaccessibile che sembra circondare Matteo Messina Denaro, soprattutto nell’ultimo anno ha registrato durissimi colpi da parte dei magistrati che tra arresti, e soprattutto sequestri di beni, stanno riuscendo a scardinare la sicurezza di una latitanza che appare ogni giorno meno tranquilla e dorata.

Era il 13 dicembre del 2013 quando, con un’operazione congiunta, Polizia, Carabinieri, Guardia di finanza e Dia bussarono alla porta di Patrizia Messina Denaro, sorella del boss. Insieme a lei, alla quale le forze dell’ordine riconobbero un ruolo dirigenziale all’interno del clan per conto del fratello latitante, finirono in cella 29 persone tra cui il nipote “del cuore” Francesco Guttadauro, e i cugini Giovanni Filardo, Lorenzo Cimarosa e Mario Messina Denaro.

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Quell’inchiesta, passata alla storia col nome “Eden”, consentì ai magistrati di infliggere un durissimo colpo alla rete informativa di Matteo Messina Denaro. Un’operazione anticipata da due grossi sequestri di beni: uno da 10 milioni di euro maturato nell’ambito di un’inchiesta sull’eolico, nel dicembre del 2012; e un altro, nell’ottobre del 2013, per un valore di 38 milioni di euro tra aziende olearie, attività commerciali, abitazioni, terreni e numerosi rapporti bancari.

L’aspetto della “spoliazione economica” dei “contigui” a Matteo Messina Denaro, ha rappresentato indubbiamente la chiave vincente e costante dei magistrati nel processo di ricerca del boss. Così, appena un mese dopo quel blitz, nel gennaio di quest’anno, la Dia ha sequestrato al cognato Vincenzo Panicola un terreno a Castelvetrano, feudo di “Diabolik”. Per i magistrati, infatti, Panicola avrebbe avuto un ruolo importante nel curare la latitanza di vari boss, tra cui lo stesso Matteo Messina Denaro, e attraverso un fitto scambio di messaggi, avrebbe fatto sì che il cognato potesse ancora svolgere il suo ruolo “di prestigio” all’interno dell’organizzazione. In più avrebbe controllato le attività economiche del clan programmando estorsioni, incendi e il reinvestimento di capitali illeciti.

Legato da rapporto di parentela con Matteo Messina Denaro è anche Giovanni Filardo. All’imprenditore, cugino del latitante, le forze dell’ordine hanno sequestrato beni per per un valore di circa 3 milioni di euro. Secondo i magistrati, Filardo, arrestato nel marzo del 2010, avrebbe compiuto estorsioni per poi reinvestire i proventi, e sarebbe stato anche il “postino”che recapitava messaggi al boss durante la sua latitanza. Assolto dal tribunale di Marsala dall’accusa di associazione mafiosa, Filardo era stato di nuovo arrestato nell’ambito dell’operazione “Eden” con l’accusa di trasferimento fraudolento di beni, al fine di agevolare l’attività della mafia avendo intestato fittiziamente ad altre persone somme di denaro ed altri beni.

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Infine, prima che l’operazione “Eden 2” infliggesse l’ennesimo durissimo colpo alla rete di fiancheggiatori di Matteo Messina Denaro, facendo luce sul ruolo di suo nuovo “ambasciatore”, ricoperto da Girolamo Bellomo, cognato di Francesco Guttadauro, nell’ottobre scorso un altro consistente sequestro di beni, per una valore complessivo di diverse centinaia di migliaia di euro, erano stati confiscati dalla Direzione investigativa antimafia ad Anna Patrizia Messina Denaro e al marito Vincenzo Panicola. In questo caso il provvedimento ha riguardato beni aziendali ed i capitali sociali di aziende di costruzioni, agricole e rapporti bancari.

Tanti successi, dunque, ma sebbene i “cerchi” strategici ed economici intorno a Matteo Messina Denaro cedano ad uno ad uno, il numero uno di Cosa nostra resta ancora un fantasma. Uno spettro immerso in uno scenario di cui egli stesso fu profeta nel 2004, quando in un “pizzino” destinato all’allora latitante Bernardo Provenzano, la primula rossa di Castelvetrano scrisse: “La situazione che si è venuta a creare, è che purtroppo qua le bastonate sono state a ruota continua, e tra l’altro non accennano a finire, credo che alla fine arresteranno pure le sedie quando avranno finito con le persone”. (Askanews)

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