Minoranza Pd si conta. Ma Renzi sereno: unità su nome condiviso

Minoranza Pd si conta. Ma Renzi sereno: unità su nome condiviso
21 gennaio 2015

Tenere fede al Patto del Nazareno e al tempo stesso limitare al minimo i franchi tiratori nel Pd, proponendo per il Colle un nome che tenga unito il partito. Questa è la sfida che Matteo Renzi ha di fronte, dopo che l’asse con Silvio Berlusconi ha tenuto alla grande in Senato sull’Italicum. E allora da Davos il premier assicura che Forza Italia è determinante, ma solo sulle riforme, perché sulla normale azione di governo “c’è una maggioranza che lavora in autonomia”. E se non bastasse, il vice segretario Lorenzo Guerini esplicita: “Non c’è in vista alcun cambio della maggioranza di governo: Forza Italia è all’opposizione e ci resterà, anche dopo il voto del Quirinale”. Perché, spiegano sia Renzi che Guerini, quanto accaduto ieri a palazzo Madama è semplicemente quello che da un anno i vertici del Pd propongono: “Le riforme, la legge elettorale, i giudici della Consulta, il Capo dello Stato si fanno anche con l’opposizione”.

Dunque, ieri mattina – minimizzano dal Nazareno – non è successo nulla di particolare. Nè succederà – giurano – dopo l’elezione del Presidente. Intanto il segretario manda messaggi alla minoranza: “E’ ininfluente”. Evitando i toni dei giorni scorsi, ma dicendo che neanche sul Quirinale il potere di interdizione dei più duri sarà rilevante. Tanto che dal Nazareno guardano con assoluta tranquillità alla riunione delle minoranze che si è tenuta oggi alla Camera: “Erano sì in 140, ma quelli che veramente si metteranno di traverso quanti saranno?”. Pochi, molto pochi, anche perché “la disponibilità di Renzi al confronto nel partito è chiara da sempre, e non servono prove numeriche per sollecitarla: proporremo un nome che rispetterà tutte le diverse sensibilità del partito”. Cercando appunto di mantenere, fin quanto possibile, l’unità del partito.

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Obiettivo possibile, per i vertici del partito, che confidano appunto nella valutazione che i 140 della sala Berlinguer sono tutto tranne che una monade: e con il gruppo più numeroso, quello che fa capo all’ex segretario Pierluigi Bersani, il dialogo non si è mai interrotto. Anzi, dal Nazareno assicurano che i contatti sono sempre in corso, e non è sfuggito il fatto che Bersani non abbia preso la parola alla riunione di ieri. Né i vertici del Pd temono che prenda corpo il gioco al rialzo che già ieri si manifestava in qualche capannello della minoranza: “Serve un nome alto, Prodi ovviamente, anche Finocchiaro. Ma certamente Grasso no, così come no Amato: sono evidentemente i candidati del Patto del Nazareno”, dicevano i ‘pasdaran’. Un gioco che per i vertici del partito si limiterà a pochi esponenti della minoranza: con il ‘grosso’ dei 140 “riusciremo a trovare un nome condiviso”.

Se poi sarà uno dei nomi già usciti nel ‘toto-Quirinale’ o qualcuno tenuto finora coperto, ancora non è dato saperlo. Ma un nome viene definitivamente tirato fuori da Renzi: è quello di Mario Draghi. “Credo che continuerà a guidare la Bce”, da dove – è il messaggio del premier – può “aiutare a dare un messaggio di un’Europa diversa” da quella dell’austerità.

La stessa tranquillità mostrata sui movimenti dela minoranza, al Nazareno la ostentanto anche rispetto alle mosse nel centrodestra, con Angelino Alfano che salda ‘l’asse dei moderati’ con Silvio Berlusconi: “E’ normale che all’inizio di una partita del genere tutti cerchino di posizionarsi nel modo che ritengono il migliore”, dicono dai vertici del Pd. E a proposito di inizi, oggi partirà la serie di incontri annunciati con le forze politiche. Si parte dal Psi di Riccardo Nencini, che con il Pd ha un patto federativo.

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