Mutazione genetica e procreazione assistita: il caso della sindrome di Li-Fraumeni scuote l’Europa
Un allarme sanitario e genetico ha coinvolto diverse famiglie europee che hanno fatto ricorso alla procreazione assistita con donatori di sperma privati. Tutto è iniziato alla fine del 2023, quando una famiglia ha ricevuto una lettera dalla clinica che li aveva seguiti, comunicando che il bambino concepito potrebbe essere portatore di una mutazione genetica associata alla sindrome di Li-Fraumeni, una rara ma grave condizione ereditaria che aumenta il rischio di sviluppare tumori in età precoce. La biologa francese Edwige Kasper, specialista proprio in questa sindrome, è stata chiamata in causa per indagare sul caso. La sindrome di Li-Fraumeni è causata da una mutazione nel gene TP53, noto come “proteina tumorale 53”, fondamentale per la regolazione della crescita cellulare e la prevenzione della formazione di tumori. Sebbene il donatore danese coinvolto sia sano, i suoi figli hanno una probabilità del 50% di ereditare questa mutazione, con conseguenze potenzialmente gravi per la loro salute.
Dall’indagine coordinata da Kasper sono emersi numeri preoccupanti: 67 bambini nati tra il 2008 e il 2015 da questo donatore sono stati identificati in 46 famiglie di otto paesi europei. Di questi, 23 risultano portatori della mutazione e 10 hanno già sviluppato tumori in giovane età.
La banca del seme danese ha immediatamente sospeso le donazioni dell’uomo e ha informato le autorità sanitarie e le cliniche coinvolte. Tuttavia, il caso ha acceso i riflettori sulle lacune normative che regolano la donazione di gameti in Europa, dove i limiti sul numero di nascite per donatore variano sensibilmente da paese a paese.
Questa vicenda mette in evidenza la necessità urgente di una regolamentazione europea più rigorosa e di un monitoraggio genetico accurato per prevenire la diffusione di malattie ereditarie gravi attraverso la procreazione assistita. Nel frattempo, i bambini portatori della mutazione sono sottoposti a controlli medici regolari, con l’obiettivo di diagnosticare tempestivamente eventuali tumori e intervenire prontamente.
Il caso rappresenta un campanello d’allarme per il settore della medicina riproduttiva e solleva importanti questioni etiche, sanitarie e legislative che richiedono una risposta coordinata a livello internazionale.