“Next Generation EU”, ecco il piano di rilancio Ue da 750 miliardi

“Next Generation EU”, ecco il piano di rilancio Ue da 750 miliardi
28 maggio 2020

La Commissione Ue ha proposto un piano di rilancio dell’economia da 750 miliardi di euro, chiamato “Next Generation EU”, in aggiunta a una nuova proposta per il prossimo Quadro finanziario pluriennale (il bilancio comunitario 2021-2027) da 1.100 miliardi. Oltre a queste cifre, l’Esecutivo Ue ha deciso che il Piano di rilancio sarà erogato agli Stati membri per due terzi (500 miliardi) sotto forma di sovvenzioni (“grants”) per un terzo (250 miliardi) con prestiti agevolati. Proprio 500 miliardi, in sovvenzioni, era la cifra proposta dal piano franco tedesco, a cui chiaramente la proposta della Commissione si ispira, completandola con una serie di altri strumenti. Il piano “Next Generation EU” sarà finanziato con una emissione da parte della Commissione di titoli Ue di debito sui mercati, le euro obbligazioni che saranno garantite dagli gli impegni finanziari degli Stati membri per il bilancio pluriennale 2021-2027, in eccedenza rispetto al tetto di spesa previsto.

L’ammontare totale del Qfp viene definito da due percentuali relative al Prodotto Nazionale Lordo comunitario: il tetto di spesa (circa all’1,1%), e il tetto degli impegni, chiamato anche ‘massimale delle risorse proprie’ (oggi attorno all’1,2%). La proposta della Commissione prevede che il tetto degli impegni (fondi sottoscritti ma non versati) sia temporaneamente quasi raddoppiato, portandolo al 2% del Reddito nazionale lordo (Rnl), e che sia lasciato pressoché invariato il tetto di spesa. La differenza (0,8% del Rnl Ue) costituirà quindi le garanzie, per tutta la durata del Piano. Le emissioni di debito avverranno gradualmente, secondo le necessità. La Commissione ha il rating AAA e potrà scontare tassi d’interesse molto bassi. Gli interessi saranno pagati dal bilancio comunitario, fino alla scadenza dei titoli di debito, che potrà arrivare fino a 30 anni. Il rimborso del debito sarà pagato anch’esso dal bilancio comunitario, non prima del 2028 e non dopo il 2058.

La distribuzione dei fondi del Piano agli Stati membri (tutti potranno avervi accesso), avverrà attraverso il bilancio comunitario e secondo una chiave che tiene conto (in base a complessi calcoli, modelli e simulazioni contenuti in un “documento di lavoro” della Commissione di 53 pagine), dell’impatto economico della pandemia in ciascun Paese. Secondo una tabella non ancora comunicata ufficialmente dalla Commissione (intitolata “Pre-Allocated funding for Next Generation EU”), la ripartizione vedrebbe l’Italia come primo beneficiario, con 81,807 miliardi di euro in sovvenzioni e circa 90,938 miliardi in prestiti, per un totale di finanziamenti pari a 172,745 miliardi di euro. Al secondo posto ci sarebbe la Spagna (sovvenzioni 77,324 Mld, prestiti 63,122 Mld, totale 140,446 Mld), al terzo la Polonia (sovvenzioni 37,693 Mld, prestiti 26,146 Mld, totale 63,838 Mld) al quarto la Francia (sovvenzioni 38,772 Mld, senza prestiti), al quinto la Grecia (sovvenzioni 22,562 Mld, prestiti 9,436 Mld, totale 31,997 Mld), al sesto la Romania (sovvenzioni 19,626 Mld, prestiti 11,580 Mld, totale 31,206 Mld), al settimo la Germania (sovvenzioni 28,806 Mld, senza prestiti) all’ottavo il Portogallo (sovvenzioni 15,526 Mld, prestiti 10,835 Mld, totale 26,361 Mld), e poi tutti gli altri Stati membri, fino al ventisettesimo, il Lussemburgo (sovvenzioni 170 Mln, senza prestiti).

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Per accedere ai fondi del Piano, gli Stati membri dovranno presentare dei ‘Recovery Plan’ nazionali, con dettagliati obiettivi di spesa, che dovranno essere approvati dalla Commissione dopo una procedura di consultazione degli Stati membri (“comitologia”) che può portare al blocco dalla proposta solo se c’è una maggioranza qualificata di Paesi contraria. In questo contesto, ci sarà una forma di ‘condizionalità’, ancora da definire nei dettagli, che riguarderà la corretta gestione dei fondi da parte dei paesi beneficiari, e il loro rispetto, negli obiettivi di spesa, delle priorità della Commissione riguardo al ‘Green Deal’ su clima e ambiente e alla transizione digitale, oltre che delle riforme strutturali chieste nelle “Raccomandazioni specifiche per Paese” del cosiddetto “semestre europeo” (il ciclo di coordinamento e sorveglianza dei bilanci nazionali). Il Piano di rilancio da 750 miliardi dovrà ora essere approvato all’unanimità dal Consiglio europeo e poi ratificato dai parlamenti di tutti gli Stati membri. Il negoziato non sarà facile, e il tempo a disposizione è davvero limitatissimo.

Sarà un miracolo se si riuscirà a completare il processo entro la fine dell’anno, in modo da poter cominciare all’inizio del 2021 con il piano e il nuovo bilancio comunitario pluriennale in vigore. Bisognerà superare le resistenze dei cosiddetti “paesi frugali” (Austria, Olanda, Svezia e Danimarca), che accettano, come tutti ormai, il progetto della Commissione di raccogliere i fondi sul mercato emettendo debito, ma vorrebbero un “volume di fuoco” ben inferiore, e soprattutto chiedono che i finanziamenti siano erogati agli Stati membri solo sotto forma di prestiti e non come sovvenzioni. Ed è possibile che, per arrivare a un compromesso, il Piano della Commissione subisca delle modifiche. Ma, come si è visto durante il dibattito in plenaria dopo la presentazione della presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, un forte maggioranza del Parlamento europeo sostiene la proposta, così come una forte maggioranza dei governi, compreso quello tedesco, nel Consiglio europeo. Un elemento cruciale del progetto della Commissione è la proposta riguardante l’introduzione di nuove “risorse proprie” per il bilancio comunitario.

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Se gli Stati membri lo decideranno (e se i loro parlamenti ratificheranno tutti la decisione), con l’introduzione di nuove risorse proprie non sarà necessario aumentare le contribuzioni nazionali al bilancio comunitario dopo il 2027 per pagare i 500 miliardi del rimborso del debito contratto con il Fondo di rilancio che non saranno destinati a prestiti, ma a sovvenzioni. Né si dovrà, in alternativa, tagliare notevolmente la spesa delle voci “tradizionali” di bilancio. Questa circostanza rappresenta un forte incentivo per far passare le nuove risorse proprie. La Commissione propone diverse possibilità, tra le quali gli Stati membri sono chiamati a scegliere, potendo anche combinare diverse opzioni: 1) destinare al bilancio una parte dei “diritti di emissione” del sistema europeo Ets (la borsa delle emissioni di CO2), prelevandoli dal gettito aggiuntivo dovuto alla prevista estensione del sistema anche ai settori dell’aviazione e della navigazione marittima (valore stimato 10 miliardi all’anno; 2) la “carbon tax” sulle importazioni dai paesi terzi che non hanno sistemi equivalenti all’Ets, che sarà introdotta l’anno prossimo (valore previsto da 5 a 14 miliardi all’anno) ; 3) una “digital tax” sulle grandi imprese (almeno 750 milioni di fatturato) del settore digitale (gettito previsto 1,3 miliardi l’anno); 4) un prelievo sulle operazioni nel mercato unico delle grandi imprese (valore previsto circa 10 miliardi l’anno).

Riguardo ai capitoli di spesa del bilancio comunitario pluriennale 2021-2028 (Qfp), la Commissione ripropone sostanzialmente l’ultima proposta che era stata presentata dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel nel febbraio scorso (e bocciata dal vertice Ue), con qualche modifica minore, ma precisandone solo il valore assoluto di 1.100 miliardi di euro, e non la percentuale rispetto al Reddito nazionale lordo (Rnl). Questo perché, se si ragionasse in termini percentuali, la caduta del Pil nel 2020, causata dal Covid-19, potrebbe cambiare in modo rilevante le cifre. Le novità più importanti del nuovo Qfp sono due: da una parte, la Commissione propone l’aumento del tetto degli impegni finanziari degli Stati membri, quasi raddoppiandolo al 2% del Rnl dell’Ue, in modo da poter disporre delle garanzie necessarie all’emissione di debito. In secondo luogo, la Commissione integra nel Qfp i 750 miliardi del piano “Next Generation EU”, portando il bilancio complessivo a 1.850 miliardi di euro.

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La suddivisione fra i capitoli di spesa prevede: 1) 210 miliardi per “Mercato unico, Innovazione e Digitale”, di cui 69,8 dal Fondo di rilancio “Next Generation EU”; 2) 984 miliardi per la politica di coesione, di cui ben 610 dal Fondo di rilancio; 3) 402 miliardi per il capitolo “Risorse naturali e Ambiente” (che comprende anche la Politica agricola comune) di cui 45 miliardi dal Fondo di rilancio; 4) 31,1 miliardi per “Immigrazione e Gestione delle frontiere”; 5) 29,1 miliardi per il capitolo “Resilienza, Sicurezza e Difesa) di cui 9,7 miliardi dal Fondo di rilancio; 6) 118,2 miliardi per il “vicinato” e le relazioni esterne, di cui 15,5 dal Fondo di rilancio; 7) 74,6 miliardi, infine, per l’Amministrazione europea. L’ultimo elemento importante delle proposte della Commissione è la “soluzione ponte” prospettata per consentire di cominciare a erogare una parte dei fondi del Piano di rilancio già nella seconda metà del 2020. Questo non sarebbe possibile con il Piano che si basa sul bilancio 2021-2027, e l’Esecutivo comunitario ha perciò proposto un aumento straordinario dei contributi degli Stati membri all’ultimo anno dell’attuale Qfp, il 2020, appunto, in modo da poter avviare già alcuni dei programmi previsti dal Piano di rilancio.

Il bilancio annuale del 2020 verrà aumentato così di 11,5 miliardi di euro, che saranno destinati per la massima parte (5 miliardi ciascuno) a due programmi: “ReactEU” per i fondi di coesione e il “Solvency Instrument”, il fondo che fornirà garanzie per la ricapitalizzazione delle imprese sane che rischiano di fallirte a causa del Covid-19. Altri 500 milioni di euro andranno ad aumentare il capitale dello “EU Investment Fund”, per gli investimenti delle aziende private, e 1 miliardo, infine, al “Sustainable Fund” esterno, per i paesi candidati dei Balcani occidentali. askanews

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