Nordirlanda, domani al voto fra Brexit e devolution. Senza accordo inevitabile un intervento di Londra

Nordirlanda, domani al voto fra Brexit e devolution. Senza accordo inevitabile un intervento di Londra
1 marzo 2017

Appena dieci mesi dopo l’ultimo voto, l’Irlanda del Nord tornerà domani alle urne per cercare una soluzione alla crisi politica causata dalle dimissioni del vicepremier del governo regionale, Martin McGuinness (foto), che ha portato alla caduta del governo. Sono chiamati alle urne un milione e 250 mila nordirlandesi tra lo spettro del riproporsi di vecchie divisioni tra protestanti unionisti e cattolico-nazionalisti e la Brexit, che potrebbe portare al ripristino del confine materiale con l’Eire, che e’ nell’Ue. L’Ulster e’ una delle quattro nazioni che compongono il Regno Unito e la sua delicata situazione politica si regge sugli accordi di pace del Venerdi’ santo del 1998, che posero fine alla vera e propria guerra tra maggioranza protestante sostenitrice dell’unione con la Gran Bretagna e minoranza cattolica favorevole alla riunificazione con la Repubblica d’Irlanda. Ricordiamo che tra il 1969 e il 1998 le violenze provocarono circa 3 mila 500 morti, con episodi drammatici come il “Bloody Sunday” di Derry del 30 gennaio 1973, quando i paracadutisti britannici spararono su una manifestazione per i diritti civili uccidendo 14 persone.

In pratica, in base agli accordi di pace del Venerdì Santo l’esecutivo deve essere a guida congiunta unionista e cattolica, con un premier e vicepremier dotati nella pratica di uguali poteri: il rifiuto dei nazionalisti irlandesi dello Sinn Fein, il partito di McGuinness, di nominare un sostituto ha di fatto portato alla paralisi dell’esecutivo, situazione in cui è stato deciso il ritorno alle urne. Quelle di domani per il rinnovo dello Stormont, l’assemblea parlamentare nordirlandese, sono elezioni anticipate – come detto – per la fine del governo di coalizione tra il Partito unionista democratico (DUP) di maggioranza relativa e il Sinn Fein, braccio politico dei repubblicani indipendentisti dell’Ira guidati dallo storico leader Gerry Adams. Gli accordi di pace del 1998 prevedono anche la pari dignita’ tra le due comunita’, protestante e cattolica, che si traduceva attualmente in un esecutivo guidato dalla leader del DUP, Arlene Foster, e dal vice-premier del Sinn Fein, Martin McGuinness, dimessosi a inizio gennaio ufficialmente per motivi di salute, ma soprattutto a seguito di uno scontro politico con il Dup e la sua leader, coinvolti in uno scandalo sui rimborsi per lo sviluppo delle energie rinnovabili.

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 Le dimissioni sono tuttavia la punta dell’iceberg dei numerosi disaccordi fra il partito unionista di maggioranza, il Dup, e lo stesso Sinn Fein, tra cui una proposta di legge sulla lingua irlandese, i matrimoni omosessuali e non ultima la stessa Brexit (avversata dai cattolici e votata dagli unionisti). Tutte questioni che rimarranno in primo piano se – come sembra dai sondaggi – Dup e Sinn Fein confermeranno le rispettive posizioni come partiti dominanti dei due schieramenti: di fatto, i cattolici hanno già annunciato di non volere un semplice ritorno dallo status quo e dunque è probabile che i negoziati per la formazione di un esecutivo saranno tutt’altro che semplici. Il tempo però stringe: se entro tre settimane infatti non dovesse trovarsi alcun accordo allora in teoria si dovrebbe ritornare alle urne; tuttavia, alla luce dell’impasse politica che si verrebbe a creare è possibile che un coinvolgimento più o meno diretto di Londra diverrebbe inevitabile. Quanto diretto rimane da vedere: i nazionalisti hanno definito “inacettabile” un ritorno alla “direct rule”, e preferirebbero una sorta di “autorità congiunta” alla quale partecipasse anche il governo centrale, mentre gli unionisti sono contrari all’idea. Quanto alla Brexit, la questione che al momento interessa maggiormente i nordirlandesi è quella della frontiera con la Repubblica d’Irlanda: in teoria, con l’uscita della Gran Bretagna dall’Europa al confine con l’Eire (Paese membro dell’Ue) dovrebbero tornare dogane e controlli, una situazione che tuttavia, secondo i critici, favorirebbe ulteriormente settarismo e divisioni, mettendo a rischio gli accordi di pace.

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La pozione del governo britannico al momento non è chiara, sebbene il premier Theresa May abbia più volte affermato che il mantenimento di una frontiera “aperta” è implicito nel “Libro bianco” sulla Brexit presentato dall’esecutivo. Gli analisti prevedono un nuovo successo, ma di stretto margine per il Dup, in ragione della persistente prevalenza demografica protestante. In realta’ le cose potrebbero essere piu’ complicate e non soltanto dal punto di vista degli equilibri demografici in via di cambiamento, ma anche dagli esiti della Brexit, che ha visto prevalere in Irlanda del Nord i no all’uscita dall’Ue con il 56% dei voti, nonostante l’impegno del DUP sul fronte del si’. Il voto pro Ue dimostrerebbe anche l’esistenza di un orientamento ormai maggioritario in favore della riunificazione dell’isola, delle due Irlande. L’elemento piu’ disastroso della Brexit, sostengono molti osservatori, sarebbe il ritorno della frontiera fisica con la Repubblica d’Irlanda, con pesanti conseguenze economiche e anche con il rischio di un ritorno alle divisioni del passato. Inoltre gli accordi del Venerdi’ santo prevedono importanti riferimenti al ruolo dell’Unione europea e al suo finanziamento del processo di pace.

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