Nucleare. Gestire 90mila metri cubi di materiale, ecco l’Osservatorio per la chiusura del ciclo nucleare

10 aprile 2014

90mila metri cubi di materiale radioattivo a vario titolo e di vario genere, sparsi in 23 siti su 11 regioni. Per gestire questa situazione garantendo “processi trasparenti, condivisi e partecipati” nasce l’Osservatorio per la chiusura del ciclo nucleare, organismo indipendente promosso dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile in collaborazione con Sogin, la società incaricata dell’uscita dal passato nucleare italiano.

L’Italia deve procedere allo smantellamento delle centrali nucleari, degli impianti di produzione del combustibile nucleare e degli impianti di ricerca del ciclo del combustibile nucleare di Trino (Vercelli), Caorso (Piacenza), Latina, Garigliano (Caserta), Bosco Marengo (Alessandria), Saluggia (Vercelli), Casaccia (Roma) e Rotondella (Matera), e il nostro paese deve anche avviare le attività di chiusura del ciclo del combustibile nucleare. Queste attività generano circa 55.000 metri cubi di rifiuti radioattivi di cui circa 10.500 ad alta attività e altri 44.500 a media e bassa attività.
A questi si aggiungono i rifiuti radioattivi a bassa, media ed alta radioattività generati da attività diagnostiche e terapeutiche di medicina nucleare (provette, flaconi, siringa, guanti, indumenti contaminati, sorgenti per teleterapia eccetera), ma anche di macchinari contaminati e dispositivi utilizzati per la ricerca in campo medico e farmacologico, oltre che in specifici settori industriali. Questi in Italia oggi ammontano a circa 15.000 metri cubi, di cui più di 3.000 ad alta attività, a cui se ne aggiungeranno nei prossimi anni circa altri 20.500, di cui oltre 1.500 ad alta attività, con un trend di crescita di 500 metri cubi l’anno.

Il tutto fa appunto un totale di oltre 90.000 metri cubi. Attualmente i rifiuti radioattivi prodotti quotidianamente sono raccolti presso i siti di produzione, mentre quelli derivanti dal settore sanitario, della ricerca e dall’industria sono detenuti in aree di stoccaggio provvisorio. Una situazione complessiva che richiede “una soluzione allineata ai migliori standard internazionali di sicurezza”.
Un fenomeno “importante- segnalano dall’osservatorio- che pone con forza il problema di una corretta e sicura esecuzione delle attività di decommissioning e della gestione e smaltimento di questa tipologia di rifiuti”. La Direttiva europea 2011/70 Euratom ha imposto ad ogni Stato membro la realizzazione di un deposito che sia in grado di ospitare in sicurezza il combustibile nucleare esaurito e i rifiuti radioattivi anche derivanti dagli impieghi medicali, di ricerca e industriali. Deposito da realizzarsi nell’ambito di un parco tecnologico, previsto dal dlgs 31/2010 e il cui iter è in corso.

“Trovare una soluzione ad una situazione precaria e insicura, come quella in cui si trova la gestione dei rifiuti radioattivi e del combustibile nucleare esaurito, è un atto dovuto- spiega Stefano Leoni, presidente dell’osservatorio- è una responsabilità di tutti noi, anche di chi, come me, ha combattuto per la chiusura delle centrali nucleari. È questo lo spirito che guiderà l’attività dell’Osservatorio, non solo per garantire la sicurezza per i prossimi anni, ma anche per le generazioni future. Solo una scelta condivisa e responsabile potrà permettere al nostro Paese di chiudere il ciclo nucleare”. Non bisogna inoltre dimenticare, conclude, “che secondo i criteri assunti dall’Onu il decommissioning del nucleare è considerato green economy e per il nostro paese significherebbe un investimento di circa 2,5 miliardi di euro”. (dire)

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