Pd elegge Martina, scintille Renzi-Zingaretti. E Matteo minaccia: “Ci vediamo al congresso”

7 luglio 2018

Finisce senza sorprese l’assemblea Pd convocata per eleggere Maurizio Martina segretario e per avviare il congresso straordinario e persino l’intervento focoso di Matteo Renzi non rimette in discussione il compromesso raggiunto ieri tra le varie correnti del partito. L’ex leader Pd parla in apertura dei lavori e mette in scena un classico del suo repertorio, la sua analisi della sconfitta è un attacco a testa bassa contro tutto e tutti, appena stemperato da una assunzione di responsabilità in prima persona.

Parole che dividono la platea in due “curve” contrapposte, i renziani che applaudono e gli altri che contestano l’ex leader, che a sua volta replica nel suo stile: “State segando il ramo su cui siete seduti, ci vediamo al congresso. Perderete ancora”. La sfida, però, è rinviata a data da destinarsi, perché sul punto c’è solo l’impegno pronunciato da Martina a fare tutto “prima delle europee”, mentre il documento approvato alla fine dell’assemblea rimane molto più generico: “Si avvia il percorso congressuale straordinario, i cui passaggi conclusivi verranno definiti dall’assemblea entro fine anno, in vista delle elezioni europee 2019”. Un deputato Pd, ammette: “C’è tempo, ne succederanno di cose in questi mesi. Vediamo come sarà la situazione a fine anno, se magari il governo dovesse vacillare chi si mette a convocare il congresso?”. Un modo per dire che la data del 24 febbraio che circolava stamattina è tutt’altro che certa, e lo dimostra anche la smentita dell’ufficio stampa del partito: “L’assemblea nazionale non è stabilito né deciso il giorno in cui si terranno le primarie”.

Proprio su questo, però, si è giocata la mediazione. Nicola Zingaretti e Andrea Orlando hanno condizionato il loro sì a Martina proprio ad un impegno esplicito a tenere le primarie prima delle europee. Zingaretti è già in pista, candidato per la segreteria e sostenuto dall’ex ministro della Giustizia, e non si vuole perdere tempo per dare magari la possibilità al fronte renziano di riorganizzarsi. “Al momento non hanno un candidato”, diceva un paio di giorni fa un esponente della minoranza. I nomi circolati più volte di Lorenzo Guerini e Graziano Delrio sono ipotesi concrete, ma l’intervento di oggi di Renzi ha fatto capire a tutti che l’ex leader non ha intenzione di stare a guardare. Qualcuno, nella minoranza, è pronto a scommettere che Renzi non escluda nemmeno una propria ricandidatura, magari a valle di una campagna elettorale per le europee che lo potrebbe vedere protagonista come front-man degli europeisti, insieme a En Marche e contro i sovranisti.

L’unica cosa che Renzi esclude è che sia lui a lasciare il partito. Non a caso contro l’ipotesi del “fronte europeista” o “repubblicano” si sono scatenati oggi sia Cuperlo che Orlando. E Zingaretti ha commentato la rielezione di Martina sottolineando l’impegno a fare le primarie prima delle europee. Per il resto, appunto, è stata la mattinata delle rivendicazioni di Renzi: il Pd è stato il partito che ha avuto più potere nella storia della Repubblica, altro che “abbiamo sempre perso”, le cose sono andate male “perché c’è un onda” populista in tutto il mondo e perché la minoranza ha lavorato “quotidianamente” per indebolire il segretario, senza contare che “certa stampa e certi intellettuali” hanno insistito nell’attaccare “il Matteo sbagliato e oggi si ritrovano Salvini”. Il Pd ha sbagliato a “rottamare poco”, è stato poco presente sui social, ha fatto una campagna elettorale troppo “algida” mentre gli avversari menavano.

Non sono mancante le stoccate a Paolo Gentiloni (“Lo Ius soli andava approvato con la fiducia, oppure bisognava dire che non si faceva. E anche i vitalizi…”). Bocciata senza appello, poi, la linea di Zingaretti: “Rispetto chi pensa che M5s sia la nuova sinistra, ma per me M5s è la vecchia destra che manganella”. E ancora: “Non penso che la ripartenza possa essere ricostruendo un simil-Pds o una simil-Unione. Sarà il congresso a deciderlo, ma non lo penso”. Le repliche arrivano subito, Orlando e Cuperlo rimproverano l’ex premier: “Risolve tutto dando le colpe a Gentiloni, a Leu, alla minoranza… – dice Cuperlo – Allora forse sì, abbiamo perso a causa mia, della minoranza, di Gentiloni, di Zanda, dei social, di Ezio Mauro… Ma un errore l’avremo fatto anche noi nell’impostare la campagna elettorale, la politica di questi anni? O è sempre colpa degli altri?”.

Martina ribatte evitando lo scontro frontale: cita una intervista al musicista Ezio Bosso, che afferma: “Un grande musicista non è chi suona più forte ma chi ascolta di più gli altri”. Insiste il segretario: “Nessuno di noi basta a se stesso, non si tratta di guardare al passato. Si tratta di dare un messaggio alle persone disilluse”. Zingaretti è anche più tagliente: “Nostalgia del Pds? Queste sono caricature di chi non ha argomenti, io sono un leader che ha governato la seconda regione italiana per prodotto interno lordo e nel nome dell’innovazione e del cambiamento. Nel giorno più drammatico della storia del centrosinistra italiano ho vinto le elezioni. Mi spiace che un po’ in maniera furbesca questo tema venga sempre rimosso. Quello che più mi ha colpito dell’intervento di Matteo – e anche quello che a me è dispiaciuto – è che alla fine non si predispone mai all’ascolto delle ragioni degli altri. Questo per un leader è un grandissimo limite”. Chiunque sia il candidato del fronte renziano, la sfida sembra già tra Renzi e Zingaretti.

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