“Qui non c’è più nessuno”: BORGO FANTASMA, il parroco è rimasto da solo I Non c’è più una sola anima viva: piazza deserta, furti ai paramenti, e pure il prete se ne scappa
Borgo Giacomo Schirò - (wikipedia) - IlFogliettone.it
Una la città fantasma sospesa nel tempo, che nasconde una storia intrisa di memoria e sangue
C’era una volta una delle prime città rurali della Sicilia. C’era, e in un certo senso c’è ancora, anche se oggi ciò che resta è un agglomerato spettrale abbandonato tra le colline del Corleonese. Non è solo una “ghost town”, ma un pezzo di storia che resiste tra le crepe dell’intonaco e le sterpaglie che soffocano le sue strade. È lì che il silenzio racconta più di quanto mille parole potrebbero fare.
Il nome del borgo risale agli anni Venti, quando Giacomo Schirò, giovane bersagliere di etnia albanese, fu brutalmente assassinato con 53 coltellate durante una festa di paese. La sua memoria sopravvive in quella piccola frazione costruita tra il 1940 e il 1941, in piena epoca fascista, su un terreno espropriato anche a famiglie legate a Totò Riina. Una costruzione voluta per il progetto di colonizzazione del latifondo siciliano, che oggi resta testimone silenzioso di un’epoca dimenticata.
L’impianto urbanistico del borgo si sviluppa attorno a una piazza rettangolare. Intorno, una scuola, circa trenta alloggi, una canonica, una chiesa, un piccolo negozio, un ambulatorio e persino una torre littoria. Tutto pensato per ospitare e organizzare una comunità agricola modello. Ma da oltre cinquant’anni quelle strutture sono vuote. L’ultimo abitante fu il parroco, che celebrò l’ultima messa intorno al 2000 prima di abbandonare definitivamente quel microcosmo in disfacimento.
A riportare attenzione su Borgo Schirò è stato il Collettivo Liotrum, gruppo siciliano legato all’associazione nazionale Ascosi Lasciti. Attraverso l’obiettivo fotografico hanno documentato lo stato di abbandono del borgo, offrendo una narrazione visiva fatta di crepe, rovine e silenzi. Le immagini raccontano di un luogo sospeso, dove qualche turista incuriosito si avventura, attratto da quel fascino decadente che appartiene al cosiddetto “dark tourism”.
Architetture decadenti e simboli del passato
Ancora oggi, entrando nel borgo, si distinguono i resti delle strutture originarie. La scuola è ancora riconoscibile, con la sua insegna e il porticato ad archi. Accanto, la torre littoria, che un tempo probabilmente fungeva da serbatoio e oggi mostra aperture adattate a funzioni abitative. La fontana sormontata da mattoni rossi e la scritta “Laudato sì mi signore per sòra acqua” riporta al cuore spirituale e simbolico di quella comunità che fu.
Uno degli edifici centrali è il municipio, dove campeggia l’acronimo “Ecls”, Ente di colonizzazione del latifondo siciliano. Una stretta scala collega l’esterno al piano superiore, sede del Partito nazionale fascista. Il porticato che unisce questo edificio alla chiesa funge da filo architettonico tra potere temporale e spirituale. È proprio la chiesa ad aver resistito più a lungo: l’ultimo luogo del borgo ad avere vita, prima di cadere anch’essa nell’oblio.
Il segno dell’arte e l’ombra del terremoto
Negli anni ’90, alcuni studenti dell’Accademia delle Belle Arti di Palermo tentarono di ridare vita al borgo, dipingendo murales sulle pareti dei fabbricati. Interventi artistici che oggi restano testimoni di un altro tentativo di riqualificazione mai realmente compiuto. Il terremoto del Belice nel 1968 segnò un punto di non ritorno: molti edifici subirono danni irreparabili, accelerando lo spopolamento e il degrado.
Oggi Borgo Schirò è visitabile, seppure in condizioni pericolanti. Chi attraversa la sua piazza deserta può sentire l’eco di storie mai scritte, può immaginare le vite che avrebbero potuto abitare quei luoghi. È un viaggio nella Sicilia dimenticata, dove ogni rovina conserva un frammento di verità e dove, nonostante l’abbandono, il tempo sembra essersi fermato per non lasciare andare la memoria.