Quirinale, il nome di Mattarella tiene ancora banco. Con rinvio voto se resta non è bis

Quirinale, il nome di Mattarella tiene ancora banco. Con rinvio voto se resta non è bis
Sergio Mattarella
12 gennaio 2022

Cosa accade al Quirinale se il 3 febbraio, giorno della fine del mandato di Sergio Mattarella, non sarà stato ancora eletto il suo successore? Nei palazzi giuristi e mandarini di Stato in questi giorni se lo stanno domandando a vicenda, essendo quest’anno doppia la possibilità che ciò accada. All’ipotesi sempre possibile – ma finora mai realizzata – che alla scadenza del mandato del presidente uscente, i Grandi elettori a Montecitorio non abbiano ancora realizzato la fumata bianca sul suo successore, si aggiunge l’eventualità niente affatto di scuola che il Covid, fra positivi e quarantenati, colpisca al punto i Grandi elettori da inficiarne il plenum e indurre il presidente del Parlamento in seduta comune Roberto Fico, sentito l’ufficio di presidenza integrato di Camera e Senato, a far slittare o rinviare le programmate elezioni.

Nell’un caso e nell’altro, in assenza di norme specifiche e precedenti, la dottrina concorda che la decisione su cosa ne conseguirebbe al Quirinale è largamente se non esclusivamente affidata alla discrezionalità del presidente in carica in quel momento. A Sergio Mattarella, sostanzialemnte, sarebbe richiesto di scrivere il precedente finora mancato: dimettersi un minuto prima della scadenza del suo mandato e aprire la porta del quirinale alla reggenza-supplenza della presidente del Senato Elisabetta Casellati. Oppure non fare niente, restando lui in carica in prorogatio oltre la fine del settennato fino alla elezione del suo successore. Questa seconda ipotesi di prorogatio diversi giuristi hanno ritenuto di escluderla per l’ipotesi di fumate nere per incapacità di trovare accordo su un nome in grado di raggiungere il quorum, sostenendo che la Costituzione dice chiaramente che il mandato di un presidente dopo 7 anni è concluso. (Anche se, a dire il vero, nel solo caso in cui si è sfiorata – l’elezione di Leone al 26esimo scrutinio a pochi giorni dalla scadenza di Saragat- al Quirinale raccontano che l’allora presidente socialdemocratico a restare qualche altro giorno ci stava facendo un pensierino lo fece…). Una cosa però è un collegio di grandi elettori che non riesce a eleggere un nuovo presidente, un’altra è che invece è nell’impossibilità di riunirsi.

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Potrebbe, insomma, Mattarella restare ancora un po’ al suo posto al Quirinale e nella pienezza di poteri in caso l’emergenza non consentisse regolare votazioni per il suo successore entro il prossimo 3 Febbraio? Nulla certo può impedirgli di tagliare la testa al toro e dimettersi comunque prima del 3 Febbraio, impedendo che il problema sia posto. Al Quirinale il 3 Febbraio si troverebbe già la supplente Casellati e nulla questio che fino alla elezione del nuovo presidente è a lei che tocchi guidare la Repubblica, con limiti e raggio di azione consentiti. A partire dalla probabile impossibilità per lei di sciogliere le Camere, essendo supplente di un presidente in semestre bianco e dunque privato di tale potere. Ma che farebbe il Presidente Mattarella se l’eventuale rinvio per Covid delle elezioni fissate a partire dal 24 gennaio venisse accompagnato da una richiesta unanime di tutti i gruppi parlamentari a Mattarella non a fare il bis – come accadde con Napolitano – ma a consentire al Paese una presidenza della Repubblica pienamente operativa anziché una supplenza fino a che il Covid non rallenti la morsa e consenta di riconvocare utilmente il plenum dei grandi elettori per l’elezione del successore?

“A me – scrive in proposito sulla rivista di diritto Nomos il costituzionalista Gino Scaccia- pare preferibile la tesi secondo la quale, alla scadenza del settennato di Mattarella toccherebbe sempre a Mattarella e non al Presidente del Senato restare in prorogatio. La prorogatio e` in effetti istituto generale – corrispondente all`esigenza di evitare interruzioni o cesure nel funzionamento degli organi costituzionali – che non necessita di espressa previsione, ma opera come declinazione del più generale principio di continuità ordinamentale o istituzionale (come la Corte costituzionale lo ha definito nella sentenza n. 13 del 2004). Esso dunque trova applicazione salva espressa previsione contraria – che ricorre per i giudici costituzionali (art. 135, comma terzo) e, limitatamente alla immediata rieleggibilità, per i membri elettivi del CSM (art. 104, sesto comma) – non invece per il Presidente della Repubblica, per il quale e` testualmente prevista anzi un`ipotesi di proroga quando il mandato presidenziale venga a scadenza allorché le Camere siano sciolte o manchi meno di tre mesi alla loro cessazione (art. 85, terzo comma, della Costituzione)”. E “in ogni caso, pur volendo concedere che in regime di prorogatio dopo il 3 febbraio resti il Presidente del Senato, questi soffrirebbe comunque di una deminutio potestatis che e` tipica della prorogatio e dunque non potrebbe in alcun modo esercitare il potere di scioglimento”.

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