Raffineria di Gela, non dimostrabile nesso patologie con lo stabilimento

Raffineria di Gela, non dimostrabile nesso patologie con lo stabilimento
12 dicembre 2015

“Non” e’ dimostrabile la tesi secondo cui i casi di malformazione e di alcune patologie siano da ricondurre alla presenza, a Gela, dello stabilimento petrolchimico di Eni. Lo puntualizza Bruno Dallapiccola, direttore scientifico dell’ospedale Bambin Gesu’ di Roma e una delle massime autorita’ scientifiche nell’ambito della genetica, osservando che non c’e’ nemmeno alcuna prova che “la frequenza di difetti genetici sia superiore a Gela rispetto ad altri posti d’Italia”. Lo studioso fa presente che le perizie del tribunale depositate nell’ambito di un procedimento civile che una trentina di famiglie ha promosso contro l’Eni parlano di patologie “multifattoriali”, il che vuol dire che “sono il risultato di un’interazione tra predisposizione genetica e l’ambiente, sia esso urbano, che industriale”. Non vi e’ nessun fondamento scientifico, insomma, che avvalori il fatto che vi sia una relazione causale univoca tra la presenza di Eni, le sostanze chimiche prevalenti, comunque entro i limiti della norma, nel comune e alcune malformazioni.

“C’e’ sicuramente una componente genetica – spiega Dallapiccola – ma per nessuno di questi casi esiste un fattore ambientale noto, sicuro, certo, che agisca da agente causale. Forse l’unica eccezione e’ il rapporto tra la spina bifida, e gli anticrittogamici, e cioe’ le sostanze che vengono usate in agricoltura, cui si fa appunto molto ricorso a Gela”. Ma ad ogni modo, “non e’ dimostrabile alcun rapporto di causa preciso di un fattore che agisca con nesso di causalita’”e anzi se cosi’ fosse “avremmo fatto una delle piu’ importanti scoperte scientifiche di tutto il mondo”. L’esperto mette anche in guardia da “un eccesso di campionamento, finalizzato a cercare certi risultati” come ad esempio nel caso dell’ipospadia che interessa oltre l’1% della popolazione. “Chiunque sappia minimamente di embriologia – spiega il direttore scientifico dell’ospedale Bambin Gesu’ di Roma – sa che ognuno di questi difetti ha un rapporto temporale ben preciso con l’ipotetico agente causale e anche un meccanismo biologico e molecolare molto particolare. Ad oggi – ribadisce – non c’e’ nessuna evidenza che vi sia una sostanza ambientale allo stesso modo responsabile di tutti i difetti oggetto di queste patologie “.

Se fosse vero, “non ho capito perche’ nelle famiglie dei dipendenti dello stabilimento non si abbiano piu’ casi di bambini malformati rispetto a quelle che vivono a decine di chilometri di distanza dalla fabbrica”. Secondo lo scienziato, sarebbe opportuno approfondire e in questo “l’Eni si e’ sempre detta disponibile, e cio’ dimostra la sua buona fede, a finanziare questo progetto di ricerca”. Dallapiccola ricorda che il 3% dei neonati ha un difetto congenito e cio’ accade in tutto il mondo “per meccanismi variabili, come la suscettibilita’ genetica e i diversi ambienti nei quali si sviluppa il feto. Questo e’ un tasso fisso della popolazione umana, si chiama rischio di specie, e non e’ azzerabile”. Il suo ‘invito’, quindi a vantaggio della salute pubblica e’ di ” ascoltare molto attentamente anche i periti di parte, di non strumentalizzarne le dichiarazioni, di non alimentare nelle famiglie, gia’ provate dalla malattia, aspettative immotivate nei termini rappresentati, e, insieme, di sostenere la ricerca scientifica dei determinati ambientali che , intesi in senso lato, possono contribuire a causare questo tipo di difetti genetici”.

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