Rohani: “Trump non ha alcun diritto di compatire il popolo iraniano”. L’Iran limita accesso a Instagram e Telegram

31 dicembre 2017

Le istituzioni iraniane devono poter offrire “uno spazio per la critica”: lo ha affermato il presidente iraniano, Hassan Rohani, nella prima dichiarazione ufficiale dopo lo scoppio delle proteste antigovernative iniziate giovedì, a causa della crisi economica e il rincaro dei prezzi, avvertendo però i manifestanti che le violenze sono inaccettabili. “Le critiche sono qualcosa di diverso dalla violenza e dalla distruzione delle proprietà pubbliche”, ha spiegato Rohani nel corso di un Consiglio dei Ministri. Rohani ha inoltre criticato l’omologo statunitense Donald Trump, che negli ultimi giorni aveva commentato le proteste in Iran offrendo la propria solidarietà ai manifestanti: “Quest’uomo che oggi vuole simpatizzare col nostro popolo ha dimenticato che fino a pochi mesi fa aveva chiamato l’Iran un Paese di terroristi: questa persona, il cui intero essere è contro l’Iran, non ha il diritto di compatire il popolo iraniano”. Ma le proteste contro il regime degli Ayatollah in Iran non si placano. Dopo tre giorni di manifestazioni in diverse citta’ del Paese, compresa la capitale Teheran, ci sono stati almeno due morti per ferite da arma da fuoco nella citta’ di Dorud, nell’ovest del Paese. Ma secondo notizie non confermate, le vittime potrebbero essere sei. Almeno duecento persone sono state arrestate nel corso delle manifestazioni di protesta avvenute la scorsa notte a Teheran: lo ha reso noto l’agenzia iraniana Ilna, citando fonti del governatorato della capitale iraniana. Secondo quanto reso noto dalle fonti citate dall’Ilna una quarantina di fermati sarebbero dei “leader” dei manifestanti e le loro proteste non sarebbero legate alla situazione economica: “Alcuni gruppi di opposizione dall’estero cercano di agitare i nostri giovani”. Fonti ufficiali parlano oggi di un paio di centinaia di manifestanti a Teheran, dove le proteste sembrano di scala più piccola rispetto a quelle in corso da tre giorni in altre città iraniane.

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Le autorita’ iraniane hanno confermato i decessi ma hanno escluso che le vittime siano cadute sotto colpi sparati dalle forze dell’ordine e parlano di infiltrati nelle proteste “con armi da caccia e da guerra”, puntando il dito contro estremisti sunniti e potenze straniere. “Sabato sera c’è stata una protesta illegale e diverse persone sono scese in strada rispondendo all’appello di gruppi ostili, che hanno portato a scontri – ha detto il vicegovernatore della provincia di Lorestan, Habibollah Khojastehpour alla televisione di Stato – sfortunatamente in questi scontri due cittadini di Dorud sono rimasti uccisi”. Il vicegovernatore ha precisato che le forze di sicurezza non hanno sparato sulla folla: “In questi scontri, non un proiettile è stato esploso dalla polizia, dall’esercito o dalle forze di sicurezza contro le persone. L’obiettivo era che le proteste finissero in modo pacifico, ma a causa della presenza di alcune persone e di determinati gruppi, sfortunatamente è accaduto questo che ha portato all’uccisione di due persone”. Stando a quanto riportato su Telegram dai Guardiani della rivoluzione, “persone munite di armi da caccia e da guerra si sono mischiate nelle proteste e hanno cominciato a sparare a caso tra la folla e contro l’edificio del governatore”, uccidendo due persone e ferendone altre sei. In alcune occasioni i manifestanti hanno dato l’assalto a edifici governativi. Sia a Teheran sia in altre citta’, si sono svolte contromanifestazioni di sostenitori del regime. Donald Trump ha attaccato il regime di Teheran twittando che “gli iraniani hanno finalmente capito che il loro denaro e il loro benessere vengono sperperati per il terrorismo”. “Sembra che gli iraniani non ne possano piu’, gli Usa vigilano su eventuali violazioni dei diritti umani”, ha aggiunto il presidente americano.

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Intanto, l’accesso ai social media Instagram e Telegram è stato limitato sui telefoni cellulari. “Gli alti funzionari della sicurezza hanno deciso di bloccare in via temporanea Telegram e Instagram”, si legge sul sito web della televisione di stato, che ha citato una “fonte informata”. Le autorità accusano gruppi “controrivoluzionari” con sede all’estero di utilizzare i social network, in particolare Telegram, per incitare le persone a scendere in piazza e a usare bombe molotov e armi da fuoco. “La notte scorsa alcuni elementi controrivoluzionari hanno usato i social network per spiegare l’uso di armi da fuoco e delle bombe molotov”, ha detto alla televisione di Stato il ministro delle Telecomunicazioni, Mohammad-Javad Azari Jahromi, aggiungendo che “se i gruppi controrivoluzionari vogliono usare i social media per causare disordini, naturalmente il Consiglio supremo per la sicurezza nazionale interverrà”. Ieri il ministro aveva già puntato il dito contro Telegram, accusato di fomentare la “rivolta armata”, e il fondatore del servizio di messaggeria criptato, Pavel Durov, aveva subito annunciato la chiusura su Telegram del canale Amadnews, che conta 1,4 milioni di abbonati, per aver incitato alla “violenza”. Tuttavia, sono subito apparsi altri canali su Telegram, tra cui Sedai Mardom (voce del popolo), che ha raggiunto più di 700.000 abbonati nel giro di poche ore, in cui sono stati lanciati nuovi appelli a scendere in piazza e sono stati pubblicati video dei raduni. Oggi Durov ha confermato il blocco ai social media: “Le autorità iraniane stanno bloccando l’accesso a Telegram alla maggioranza degli iraniani dopo il nostro rifiuto di chiudere Sedaie Mardom e altri canali che invitano a manifestazioni pacifiche”.

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La protesta e’ partita giovedi’ dalla citta’ nord-orientale di Mashaad e l’indomani si e’ estesa in diverse citta’, compresa la capitale Teheran teatro dove sabato sono scese in piazza migliaia di persone e ci sono stati scontri con la polizia. Secondo la premio Nobel per la pace, l’avvocatessa iraniana Shirin Ebadi, la protesta iniziata per il malcontento rispetto al carovita e all’impegno militare all’estero dalla Siria al Libano fino allo Yemen, potrebbe presto assumere connotati analoghi all'”onda verde” del 2009, quando si diffuse la contestazione popolare contro la rielezione del presidente ultraconservatore Mahmoud Ahmadinejad. Anche allora la repressione fu particolarmente dura. La fine delle sanzioni, dopo l’accordo sul nucleare del 2015, nonostante la recente marcia indietro di Trump, non sembra aver determinato una ripresa nel tenore di vita della popolazione, anche in ragione dell’aumento delle spese militari. Il malcontento per il ferreo controllo del regime su tutti gli aspetti della vita sociale e’ particolarmente diffuso tra i giovani. Al momento ne’ il numero uno della Repubblica islamica, la Guida suprema Ali Khamenei, ne’ il presidente, Hassan Rohani, hanno preso posizione ufficialmente sulle proteste, ma il ministro dell’Interno, Abdolrahman Rahmani Fazli, ha avvertito che gli autori delle violenze e i responsabili dell’ondata di disordini “pagheranno il prezzo” delle loro azioni. “Quanti danneggiano beni pubblici, creano disordine e infrangono la legge devono rispondere delle loro azioni e pagarne il prezzo”, ha avvertito, “agiremo contro le violenze e contro quanti stanno seminando paura e terrore”.

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