Sicilia, la politica in attesa di giudizio

6 aprile 2016

di Gaetano Mineo

editoriale_defLa Corte dei conti chiama a giudizio Crocetta e Ingroia per danno erariale. Cinquanta deputati del parlamento siciliano, diciassette dei quali in carica, vanno a processo per aver danneggiato l’amministrazione pubblica. L’ultima condanna dei magistrati contabili è stata inflitta all’ex capogruppo del Pd, Cracolici, che ora guida l’Agricoltura. Vi risparmiamo l’intera lista dei puniti, da settimane è sulle pagine dei giornali in tutte le salse. Il punto, però, è un altro. Stiamo parlando della classe politica che dovrebbe tirar fuori dalle sacche della crisi la Sicilia; che dovrebbe essere punto di riferimento per i giovani, smarriti e senza fiducia nel futuro; e che dovrebbe porsi parsimoniosa agli occhi di quelle decine di migliaia di lavoratori che hanno perso il lavoro. Parole al vento. Ogni deputato, legittimamente, si difenderà nelle sedi opportune. In ogni caso, al di là degli esiti delle inchieste e dei processi, la sostanza non cambia: questa classe politica è in attesa di giudizio. E non solo da parte dell’elettorato. A questo triste scenario si affianca la macchina della “macelleria sociale” avviata da qualche anno a questa parte dal governatore. L’ultima valanga di disoccupati s’è scatenata per una raffica di liquidazioni di partecipate e enti collegati. Catastrofe prodotta non per la tanta strillata spending review – basta vedere le società nel mirino di Crocetta – ma, fatto più grave, per beghe e piccoli interessi. La valanga appare inarrestabile. La politica sembra non capirlo. Drammatico, invece, se n’è consapevole. Altra slavina rischia di staccarsi dalle ex province. In questi giorni, governo e (pezzi) maggioranza hanno accolto con plauso la conclusione dell’iter legislativo della riforma. Capitolo archiviato? Manco a pensarlo. Perché l’ex sindaco antimafia di Gela (con un Baccei col fiato sul collo), tra le tante gatte da pelare, dovrà procurare 160 milioni per pagare gli stipendi di seimila e cinquecento lavoratori dei Liberi consorzi. Fermo restando, che l’assessore all’Economia inviato da Renzi, vuole ancora racimolare altri 50 milioni dalle casse di questi enti intermedi che, a breve, rischiano di aver staccato luce e telefoni. Per non parlare di un’altra censura della riforma che potrebbe arrivare da Palazzo Chigi. D’altronde, la Regione non si avvale più delle prerogative statutarie per contestare innanzi alla Consulta le impugnative del governo centrale. Potere che dà lo Statuto a Palazzo d’Orléans e che, puntualmente, non esercita. Segno di una Autonomia sempre più morente, alle soglie dei suoi settant’anni e che, oramai, s’è trasformata una spada di Damocle per la stessa Sicilia.

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