Terremoti, 12 milioni di case ad alto rischio: ci vive 1 italiano su 3. Abusivismo: 15 milioni di pratiche

Terremoti, 12 milioni di case ad alto rischio: ci vive 1 italiano su 3. Abusivismo: 15 milioni di pratiche
22 agosto 2017

Il terremoto che ha colpito Ischia è l’ennesima conferma sull’elevato rischio sismico dell’Italia. Circa 21,5 milioni di italiani risiedono in zone ad elevato rischio sismico e le abitazioni interessate sono 12 milioni, secondo vari studi e ricerche prodotti negli ultimi anni. Per la messa in sicurezza del patrimonio immobiliare italiano c’è una abbondante letteratura. Le stime sui costi spaziano da 6 a 850 miliardi di euro in funzione dell’ampiezza degli interventi. Risorse che sono comunque inferiori ai costi provocati dai terremoti (senza contare il prezzo inaccettabile di vite umane). La protezione civile ha calcolato in quasi 150 miliardi di euro i danni diretti degli eventi sismici negli ultimi 40 anni. L’ordine degli ingegneri ha stimato oneri per 121 miliardi tra il 1968 e il 2014 con una media di 2,6 miliardi l’anno. Uno studio dell’Ance (associazione dei costruttori) indica i 3,5 miliardi l’anno i costi per la mancata prevenzione. Il Sole24Ore ha pubblicato i risultati del lavoro realizzato da Casa Italia (Dipartimento presso la presidenza del consiglio) che indica in 36,4 miliardi di euro l’investimento minimo per la messa in sicurezza del patrimonio immobiliare italiano fino a un massimo di 850 miliardi sulla base di un costo di 400 euro a metro quadro per una abitazione di 110 metri. Cifre più contenute per la messa in sicurezza degli edifici localizzati nelle zone a più elevato rischio sismico. Sulla base della classificazione territoriale per grado di pericolo l’Italia è suddivisa in quattro zone. Le aree 1 e 2 sono esposte a rischio molto o abbastanza elevato, la 3 non può considerarsi sicura (come dimostra il terremoto dell’Emilia Romagna) mentre la 4 è relativamente sicura. Nella zona a più alto rischio vivono 3 milioni di persone e sono presenti oltre 1,6 milioni di abitazioni.

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La Calabria è la regione più esposta a rischio sismico con 1,2 milioni di residenti e 635mila abitazioni in Zona 1. Uno studio dell’ordine degli ingegneri ha calcolato in 93 miliardi di euro il costo per la messa in sicurezza delle sole abitazioni dal rischio sismico, mentre l’anno scorso il Dipartimento della protezione civile aveva indicato in almeno 50 miliardi l’investimento necessario per mettere in sicurezza gli edifici pubblici. Lo studio degli ingegneri ha ampliato lo scenario includendo anche gli interventi contro i rischi idreogeologici con una stima di 40 miliardi di euro, che coincide con l’elaborazione realizzata tre anni fa dal ministero dell’Ambiente. Intervenire solo sulle abitazioni della Zona sismica 1 comporta costi che sfiorano i 5,5 miliardi di euro. Altri 30 miliardi servono per la messa in sicurezza delle abitazioni della Zona 2 (9 milioni di case e 18,7 milioni di residenti), 27,3 miliardi per la Zona 3 (18 milioni di abitanti e 8,4 milioni di abitazioni) e 30,5 miliardi per la Zona 4 (19,8 milioni di residenti e 10 milioni di abitazioni). Anche il Cresme un anno fa ha realizzato una mappa sul rischio sismico indicando che la quota più consistente di edifici esposti al rischio ha un uso prevalentemente residenziale, pari a 12,9 milioni di unità, mentre gli edifici per le attività produttive sono quasi 991mila, di cui 213mila in zona sismica 1 e 778mila in zona 2. Il rischio potenziale per le strutture edilizie è elevato. Oltre il 56% degli edifici residenziali esistenti nelle zone sismiche 1 e 2 è stato realizzato prima del 1970: si tratta dunque di un patrimonio che non prevede l`utilizzo di tecniche costruttive antisismiche. Soltanto il 5% degli edifici in zona a rischio elevato è stato realizzato negli anni 2000, quando le norme tecniche hanno imposto criteri molto più restrittivi che in passato. Oltre il 55% degli edifici esistenti nelle aree ad elevato rischio sono realizzati con muratura portante e soltanto il 33% con strutture il calcestruzzo armato.

ABUSIVISMO

Il sisma di Ischia riporta all’attenzione il fenomeno dell’abusivismo edilizio, una piaga italiana di dimensioni che non hanno riscontri con altri paesi sviluppati. Ed è il Sud l’area dove il fenomeno dell’abusivismo è più diffuso. L’Istat nel rapporto sul benessere equo e sostenibile relativo al 2015 ha indicato che in alcune regioni del Sud fino a 60 edifici su 100 non hanno l’autorizzazione e nel 2015 il numero delle nuove costruzioni abusive è salito, rispetto all’anno precedente, da 17,6 a 19,7 ogni 100 autorizzate. Quasi un fabbricato su cinque viene costruito senza rispettare le norme urbanistiche. Fenomeno che non conosce crisi. Anzi in costante ampliamento. Nell’ultimo rapporto sul benessere equo e sostenibile l’Istat ha stimato che gli edifici costruiti senza autorizzazioni urbanistiche sono passati da 9,3 su 100 autorizzati nel 2008 a quasi 20 su 100 nel 2015. “Questo significa che una quota rilevante e crescente dell`attività edilizia, e dunque del processo di urbanizzazione, si svolge senza controllo, producendo degrado del paesaggio e rischio ambientale”. Nei mesi scorsi il centro studi Sogeaa ha presentato il primo rapporto sul condono edilizio in Italia. A oltre trent`anni dalla prima legge sul condono edilizio, la 47/85 varata dal Governo presieduto da Bettino Craxi, in Italia rimangono ancora 5.392.716 domande da evadere: si tratta di poco più di un terzo rispetto al totale di quelle presentate, che ammonta a 15.431.707. Solo lo 0,9% dei Comuni del nostro Paese non è stato interessato dalle richieste di sanatoria in materia di abusi. E circa 3,5 milioni di domande da evadere riguardano ancora la legge del 1985. Il rapporto rileva che oltre 11 milioni di domande riguardano la legge del 1985 mentre alla legge 724 del 1994, varata dal primo Governo Berlusconi, possono essere ricondotte 2.609.976 domande presentate (il 17% del totale), e per quanto riguarda la terza e ultima legge sul condono edilizio, la 326 del 2003, le richieste ammontano a 1.703.470 (l`11% del montante complessivo).

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“Relativamente a tutti e tre i provvedimenti legislativi, si può stimare con buona approssimazione – si legge nel rapporto – che circa 534.000 domande siano da rigettare (100.000 riconducibili al primo condono, 34.000 al secondo e 400.000 al terzo). Ciò principalmente perché si riferiscono ad abusi realizzati su edifici siti in zone sottoposte a vincolo”. L’analisi per singole realtà mostra che Roma è nettamente in testa alla graduatoria sia delle istanze presentate sia delle pratiche ancora da concludere. Per ciò che riguarda il totale delle domande, la capitale ne conta 599.793 e precede Milano (138.550), Firenze (92.465), Venezia (89.000), Napoli (85.495), Torino (84.926), Bologna (62.393), Palermo (60.485), Genova (48.677) e Livorno (45.344). Sul fronte del numero delle istanze ancora da evadere, invece, Roma ne ha 213.185, vale a dire quasi quattro volte Palermo (55.459). Sul gradino più basso del podio troviamo Napoli (45.763), che si attesta davanti a Bologna (42.184). Più staccate Milano (25.384), Livorno (23.368), Arezzo (22.781), Pescara (20.984), Catania (20.249) e Fiumicino (20.055), unico Comune non capoluogo di provincia ad entrare nelle prime dieci posizioni (Venezia, Torino e Reggio Calabria, città che presentano un numero consistente di richieste di condono, non hanno fornito il dato sulle pratiche ancora da lavorare). Ci sono comunque anche esempi di efficienza amministrativa. Il rapporto di Sogeaa indica che Ferrara si guadagna il titolo di città più virtuosa nella gestione delle domande di condono edilizio, avendo evaso tutte le 30.800 istanze presentate dai suoi cittadini. Ma è l`Emilia-Romagna nel suo complesso ad avere lavorato ottimamente su tale fronte, visto che subito dopo troviamo altre due città di questa regione: Ravenna (seconda con 25.740 domande, tutte concluse) e Imola (quarta con le sue 7.344 istanze chiuse). Terza piazza per Chioggia, che ha portato a termine l`esame delle 12.730 pratiche arrivate presso gli uffici comunali.

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