Zingaretti ricompatta il Pd in attesa delle Regionali. Ma tensione rimane alta

Zingaretti ricompatta il Pd in attesa delle Regionali. Ma tensione rimane alta
Nicola Zingaretti
7 settembre 2020

Nicola Zingaretti ricompatta il Pd, almeno fino alle regionali del prossimo 20 settembre. Il segretario convoca la direzione per fissare la linea del partito sul referendum, consapevole che in molti tra i democratici fanno fatica a votare sì al taglio dei parlamentari nella versione pretesa dai 5 stelle, e alla fine il risultato lo conforta: “E’ stata una discussione bellissima”, dice al termine dei lavori. La sua relazione viene approvata quasi all’unanimità, 213 sì su 219 componenti e nessun voto contrario. Meno largo, ma in ogni caso ampio, il consenso sull’ordine del giorno che schiera il Pd per il sì al referendum: 188 sì, 13 contrari, 8 astenuti e 11 che non partecipano al voto.

Un documento che Zingaretti mette a voti separatamente dalla sua relazione per evitare che il no al referendum possa spingere anche qualche suo sostenitore a bocciare la sua linea complessiva. L’operazione riesce, il voto separato sull’ordine del giorno gli assicura l’apprezzamento anche di esponenti come Gianni Cuperlo, Luigi Zanda, Cesare Damiano che pure hanno confermato il loro no al referendum. A sostegno della linea di Zingaretti, in direzione, si schierano Dario Franceschini, Andrea Orlando – cioé i due principali alleati del segretario – ma anche il sempre più ingombrante Stefano Bonaccini si schiera a favore del referendum in maniera netta. Di fatto, in direzione non trovano spazio le fibrillazioni che da qualche mese agitano il partito e che potrebbero esplodere definitivamente in caso di pesante sconfitta alle regionali.

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Solo qualche voce viola la tregua pre-elettorale: l’area di Matteo Orfini, attraverso Francesco Verducci, prende duramente posizione contro il segretario, in direzione, e lo stesso fa Tommaso Nannicini. Sono però solo avvisaglie del fermento che attraversa il partito. Tutta l’area ex renziana per ora rimane allineata in attesa del voto e Franceschini è intervenuto con forza, durante il dibattito, per ricordare a tutti i malpancisti del referendum che se qualcuno riteneva inaccettabile il sì al taglio dei parlamentari avrebbe dovuto dirlo un anno fa, quando si è deciso di entrare al governo con M5s. La parola d’ordine è unità contro le destre, i “sovranisti”, che – assicura Zingaretti – “sognano” se pensano di poter fare un cappotto 7 a 0 nelle regioni, come ha detto ieri Matteo Salvini.

In realtà, il leader Pd sa che basterebbe molto meno per riaprire la discussione nel Pd. Già da qualche mese Giorgio Gori e, appunto, Bonaccini hanno iniziato a mandare segnali di avvertimento e un 4 a 2 alle regionali – escludendo la Val d’Aosta, sarebbe già sufficiente ad innescare un mezzo terremoto nel partito. Per questo Zingaretti fa appello all’unità, chiede al Pd di stare alla larga dal “Truman show” della politica, ricorda che il governo va avanti “se fa le cose” e che “se la situazione della Repubblica dovesse peggiorare la nostra presenza al governo sarebbe inutile”. Un appello a serrare le file che per ora funziona. Si vedrà se basterà anche dopo il risultato delle regionali.

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