Pentito accusa: l’agente fu ucciso per fare un favore alla Polizia

Pentito accusa: l’agente fu ucciso per fare un favore alla Polizia
26 novembre 2015

Il collaboratore di giustizia Vito Lo Forte accusa i “dirigenti del commissariato” in cui la vittima lavorava, di avere chiesto alla mafia il favore di eliminare l’agente di polizia Antonino Agostino e la moglie, Ida Castelluccio, uccisi a Villagrazia di Carini (Palermo) la sera del 5 agosto 1989. Lo Forte e’ stato ascoltato nell’ambito di un incidente probatorio che si e’ tenuto davanti al Gip Maria Pino, che aveva respinto la richiesta di archiviazione presentata dalla Procura per i due indagati, il superkiller Nino Madonia e Gaetano Scotto. Il giudice aveva ordinato nuovi accertamenti e i pm Francesco Del Bene, Nino Di Matteo e Roberto Tartaglia hanno sentito l’ex mafioso della famiglia palermitana dell’Arenella, chiamato a fare precisazioni rispetto alle smentite che gli erano arrivate da un altro pentito, Vito Galatolo, che collabora dal novembre 2014 e aveva negato quanto affermato da Lo Forte, in particolare sul suo essere stato la fonte delle informazioni del “collega”, sia sul duplice delitto Agostino-Castelluccio che sul fallito attentato dell’Addaura contro il giudice Giovanni Falcone e due colleghi svizzeri, Carla Del Ponte e Claudio Lehmann, avvenuto un mese e mezzo prima, il 21 giugno 1989. Nella sua deposizione, tenuta nell’aula bunker dell’Ucciardone, Lo Forte ha sostenuto che la mafia non aveva interessi diretti ad eliminare Agostino, ma che aveva fatto un “favore ai dirigenti del commissariato” in cui la vittima lavorava, inizialmente indicato come “commissariato Resuttana”, poi “San Lorenzo”, infine lasciato senza nome, perche’ Lo Forte non lo ricordava e comunque si trattava del commissariato Mondello.

Il duplice delitto di 26 anni fa e’ sempre rimasto un profondo mistero e il padre di Nino, Vincenzo Agostino, e’ diventato un simbolo con la sua barba bianca incolta, che non taglia piu’ da quel giorno, in attesa che si faccia verita’ e giustizia. Galatolo ha precisato di essere nato nel 1973 e di avere avuto 16 anni, nel 1989: per questo non sapeva nulla o quasi del delitto di Villagrazia di Carini e dell’episodio dell’Addaura, attribuito da Falcone – con una frase rimasta famosa – a “menti raffinatissime”. Sulla fonte delle informazioni Lo Forte, che alcuni anni fa commise un omicidio mentre era gia’ collaboratore, ha corretto il tiro: “A dirmi come erano andate le cose – spiega – fu Gaetano Vegna, reggente dell’Arenella, che venne a trovarmi mentre ero agli arresti domiciliari. Non lo avevo detto prima per paura, forse per questo motivo ho fatto confusione. Io in questa storia ho sempre avuto paura”. Una tesi e un cambiamento di versione sostenuti dal pentito anche al processo bis per la strage di Capaci, in corso davanti alla corte d’assise di Caltanissetta. “Non avevo fiducia nello Stato”, ha precisato ulteriormente adesso Lo Forte. Nella vicenda e’ coinvolto pure Giovanni Aiello, l’ex poliziotto detto “Faccia da mostro” e che lui chiama “il Bruciato”, accusandolo pure della strage Borsellino del 1992. Lo Forte aveva spiegato che la misteriosa morte di Agostino era ricollegabile alla sparizione (del marzo 1990) di Emanuele Piazza, giovane collaboratore del Sisde: entrambi infatti sarebbero stati all’Addaura, ma l’esame del Dna sui reperti ritrovati sulla scogliera aveva dato esito negativo. Gli accertamenti sul Dna erano partiti dalle dichiarazioni di un altro pentito, Angelo Fontana, che aveva sostenuto di aver partecipato in prima persona allo stesso tentativo di uccidere Giovanni Falcone. L’anno scorso si e’ scoperto pero’ che in quei giorni Fontana era detenuto negli Usa. L’ex poliziotto Giovanni Aiello, detto “Faccia da mostro” o “il Bruciato”, sarebbe uno dei componenti del commando che, il 5 agosto 1989, uccise a Villagrazia di Carini (Palermo) l’agente Antonino Agostino e la moglie, Ida Castelluccio.

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A ribadire le dichiarazioni, gia’ rese alla Procura di Palermo nel settembre 2014, e’ stato l’ex pentito Vito Lo Forte, sentito dal Gip Maria Pino e dai pm Nino Di Matteo, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia, nell’ambito dell’incidente probatorio che si tiene contro i due indagati per il misterioso delitto di 26 anni fa, Nino Madonia e Gaetano Scotto. Lo Forte, che sostiene di avere appreso questi fatti dal reggente del mandamento mafioso dell’Arenella, Gaetano Vegna (morto un anno fa), e da Pietro Scotto, fratello di Gaetano, ha detto che Aiello ebbe un ruolo logistico di rilievo: avrebbe cioe’ bruciato la motocicletta utilizzata dai killer. “Faccia da mostro” e’ stato accusato, da Lo Forte ma anche da altri collaboranti, di avere avuto un ruolo pure nella strage di via D’Amelio. L’accusa, mossa dall’ex mafioso all’ex poliziotto attraverso una serie di cambiamenti di versione, non ha pero’ finora trovato alcun riscontro ne’ ha convinto gli inquirenti. L’ex pentito – allontanato dal programma di protezione dopo avere commesso un omicidio, alcuni anni fa, mentre collaborava con lo Stato – ha ricollegato la morte di Agostino, finora autentico rebus per gli inquirenti, alla presenza dell’agente sui luoghi del fallito attentato dell’Addaura contro il giudice Giovanni Falcone e due suoi colleghi svizzeri. Quel giorno, il 21 agosto 1989, dunque poche settimane prima del duplice delitto di Villagrazia, ci sarebbe stato anche Emanuele Piazza, collaboratore del Sisde, sparito in circostanze misteriose pochi mesi dopo, nel marzo 1990. Agostino e Piazza sarebbero stati li’ con delle mute da sub, poi ritrovate sulla scogliera e sottoposte a un accurato esame del Dna, che ha pero’ escluso che vi fossero tracce dei codici genetici di entrambi. Lo Forte non era stato peraltro in grado di dire in che veste i due agenti fossero li’, se per impedire l’attentato o per appoggiare i killer (mancati) di Falcone e ha sostenuto che l’omicidio Agostino fu un favore che la mafia fece ai dirigenti del commissariato San Lorenzo, in cui il poliziotto lavorava.

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