Conclave il 7 maggio, la sfida per il dopo Francesco. Rischio risiko tra i cardinali, Becciu verso un passo indietro

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Il prossimo 7 maggio si aprirà nella Cappella Sistina il Conclave che dovrà eleggere il 267° successore di Pietro, in un tempo in cui la Chiesa cattolica si misura con sfide epocali e un mondo in profonda trasformazione. A rendere ancora più complesso lo scenario è anche il caso del cardinale Angelo Becciu, coinvolto nella nota vicenda finanziaria di Sloane Avenue, che – da quanto trapela – avrebbe offerto un passo indietro sulla sua partecipazione al voto, evitando così un potenziale elemento di tensione tra i cardinali elettori.

La mappa del Conclave si presenta come un articolato risiko planetario: 135 elettori distribuiti su sei continenti, sensibilità differenti, visioni ecclesiali divergenti, un’eredità pesante da raccogliere. Sarà il cardinale Pietro Parolin, già Segretario di Stato vaticano, a presiedere i lavori.

La geografia dei cardinali

La distribuzione dei cardinali elettori riflette ormai una Chiesa che ha oltrepassato i confini eurocentrici: 53 cardinali provengono dall’Europa, 23 dall’Asia, 18 dall’Africa, 17 dall’America Latina, 16 dal Nord America, 4 dal Centro America e 4 dall’Oceania. Pur essendo ancora l’Europa il continente con il maggior numero di voti, per la prima volta la sua influenza risulta relativizzata da un’espansione significativa delle Chiese in Asia, Africa e America Latina.

Tale mutamento demografico si traduce anche in una differenziazione di approcci pastorali: un’attenzione ai poveri e ai migranti nel Sud globale, una resistenza culturale ai mutamenti socio-etici in Africa, una battaglia per la libertà religiosa in Asia, una crisi di secolarizzazione radicale in Europa.

Progressisti, conservatori, “bergogliani”: semplificazione rischiosa

Tentare di leggere il Conclave con le sole lenti delle categorie politiche di “progressisti” e “conservatori” rischia di rivelarsi riduttivo. Più corretto è parlare di sensibilità ecclesiali e di visioni diverse circa il modo di tradurre il Vangelo nel tempo presente. Alcuni cardinali, come Matteo Zuppi o Jean-Claude Hollerich, sembrano incarnare la “Chiesa in uscita” delineata da Francesco, improntata al dialogo e alla sinodalità. Altri, come Peter Erdo o Gerhard Müller, propongono una lettura più “difensiva” e identitaria della fede, tesa a preservare la dottrina dalle sfide della modernità.

In Asia, il panorama si sfuma: accanto al cardinale Luis Antonio Tagle, visto da molti come il “Francesco d’Asia”, emerge la figura più riservata e tradizionale di Pierbattista Pizzaballa, Patriarca latino di Gerusalemme, che ben conosce le tensioni geopolitiche e religiose del Medio Oriente.

Le poste in gioco: continuità, riforma, governo

Sotto il Giudizio Universale della Cappella Sistina, i cardinali dovranno affrontare domande di fondo: proseguire sulla linea tracciata da Francesco, rafforzandola e sviluppandola? O correggere alcune sue intuizioni, privilegiando una maggiore chiarezza dottrinale?

Tra i temi più delicati: la sinodalità come forma di governo ecclesiale, il ruolo delle donne nella Chiesa, il celibato sacerdotale, i rapporti con l’Islam e la Cina, la gestione delle nuove povertà, il discernimento sulle nuove forme di famiglia.

La composizione numerica suggerisce un sostanziale equilibrio: una maggioranza teorica di conservatori (74 voti) contro una minoranza consistente di progressisti (61 voti). Ma il Conclave, si sa, sfugge spesso alle logiche aritmetiche: basta una candidatura capace di intercettare sensibilità trasversali per cambiare radicalmente lo scenario.

L’eredità di Francesco: peso o opportunità?

Non sarà indifferente il giudizio che i cardinali daranno sull’eredità di Papa Francesco. Se da una parte c’è chi desidera un ritorno a una gestione più “centralizzata” e meno sinodale della Chiesa, dall’altra molti riconoscono che la sfida della riforma – pur nelle sue fatiche – non può essere abbandonata senza gravi ripercussioni.

Nel Conclave del 2013, la figura di Jorge Mario Bergoglio emerse come una sorpresa, favorita da un desiderio profondo di rinnovamento. Oggi, lo scenario è più articolato, ma la sete di un Papa “di frontiera”, capace di parlare al mondo oltre i confini tradizionali, resta viva.

La vera strategia è il discernimento

“Il vantaggio dell’offensiva sta nella sorpresa”, scriveva Clausewitz, e se il Conclave avrà un vincitore, sarà solo chi saprà ascoltare il silenzio che Dio suggerisce. Nessun dado verrà tirato: soltanto le coscienze dei cardinali, illuminate dalla preghiera, potranno trasformare una mappa di equilibri geopolitici e teologici in una scelta che, ancora una volta, sorprenderà il mondo. E forse, come dodici anni fa, l’annuncio “habemus Papam” porterà un nome che oggi pochi osano pronunciare.