Dossier illegali, conflitto di poteri Renzi-pm a esame della Consulta

11 settembre 2016

Alla ripresa della sua attività dopo la pausa estiva, la Corte costituzionale tornerà a occuparsi del segreto di Stato in relazione alle vicende giudiziarie dell’ex capo del Sismi Nicolò Pollari, scaturite dal rapimento a Milano dell’ex imam Abu Omar. In particolare il 21 settembre prossimo la Consulta dovrà pronunciarsi sull’ammissibilità del conflitto di poteri, sollevato dal presidente del Consiglio nei confronti dei pm di Perugia, che hanno messo sotto accusa Pollari per un altro capitolo di quel caso: la scoperta nel 2006 in via Nazionale a Roma di un archivio illegale con dossier riservati su magistrati, giornalisti e politici, che sarebbe stato realizzato insieme al funzionario dei servizi Pio Pompa. Una mossa quella di Matteo Renzi in continuità con la linea seguita dai governi precedenti, che in nome del segreto di Stato hanno sostenuto un lungo braccio di ferro con i magistrati decisi ad andare avanti nelle indagini sull’ex capo del Sismi.

A Perugia al processo non si è mai arrivati perché un anno fa il giudice dell’udienza preliminare dichiarò il “non doversi procedere” per prescrizione del reato di abuso d’ufficio; mentre, in relazione al versamento di 30 mila euro che sarebbe stato corrisposto al giornalista Renato Farina perché fornisse informazioni sulle indagini dei magistrati milanesi dopo il sequestro di Abu Omar, il giudice pronunciò il proscioglimento per l’esistenza del segreto di Stato. Segreto che secondo il ricorso di Renzi alla Consulta avrebbe dovuto fermare subito i pm, prima dell’esercizio dell’azione penale. Già nel 2013 un altro gup di Perugia aveva deciso per il proscioglimento di Pollari e Pompa ma quella decisione era stata annullata dalla Cassazione. Per il rapimento di Abu Omar invece, dopo due sentenze che avevano ritenuto Pollari non giudicabile per l’esistenza del segreto di Stato, nel 2013 si arrivò alla condanna pronunciata dalla Corte d’appello di Milano per lui, il suo braccio destro Marco Mancini e alcuni agenti dei servizi. Ma quasi un anno dopo la Consulta dette ragione al governo dell’epoca, sostenendo che la vicenda era coperta dal segreto di Stato. E la Cassazione, dando seguito a quella decisione, annullò le condanne, assolvendo definitivamente tutti.

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