Eni, rottura tra governo e sindacati

31 luglio 2014

E’ rottura tra governo e sindacati sul piano di sviluppo dell’Eni. Un piano “inaccettabile”, secondo i segretari generali di Filctem-Cgil, Femca-Cisl, Uiltec-Uil, Emilio Miceli, Sergio Gigli e Paolo Pirani. E così i sindacati hanno annunciato la ripresa dello stato di agitazione in tutto il gruppo al termine dell’incontro al ministero dello Sviluppo sulla situazione di Gela e sul sistema industriale dell’Eni che si e’ concluso ”negativamente”. Al tavolo hanno partecipato il ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi, il viceministro Claudio De Vincenti, i vertici di Eni e i sindacati. ”Nell’incontro, nonostante il tentativo di mediazione del ministro Guidi, si e’ registrata una posizione di rigidita’ dell’azienda”, secondo i sindacati, rispetto alle richieste di riavviare gli impianti di Gela e di Porto Marghera, cosi’ come previsto dagli accordi precedenti. ”Ribadiamo la necessita’ di un intervento diretto della Presidenza del Consiglio dei Ministri al fine di riconfermare la valenza strategica del settore industriale del gruppo Eni nel Paese”, aggiungono i segretari.

Doveva essere il giorno della soluzione per il caso Gela e della raffineria dell’Eni, che tra lavoratori diretti e indiretti occupa 3.500 persone, al contrario, dopo oltre 8 ore di riunione, e’ stato il giorno dello strappo tra azienda e sindacati. Non sono bastati i 25 giorni di fermo deciso dagli oltre 900 lavoratori, ad esclusione di una cinquantina di precettati, ne la manifestazione che ha coinvolto l’intera citta’ che e’ proseguita, ieri, sotto Montecitorio, a fare raggiungere un accordo. Da una parte il nuovo piano industriale dell’azienda, dall’altra la richiesta delle sigle sindacali di riattivare l’impianto prima di mettersi seduti per discutere dei futuri investimenti. In mezzo la Regione Siciliana, rappresentata dal governatore Rosario Crocetta, che ha puntato i piedi contro un piano che prevederebbe, secondo il presidente, solo aspetti negativi: una bonifica del territorio di soli 40 ettari sui 340 che attualmente sono interessati, nuovi sfruttamenti del territorio e del suo sottosuolo, con conseguenze ambientali e paesaggistiche, un basso investimento che si rifletterebbe sull’occupazione e, indirettamente sul Pil siciliano. In sostanza, secondo il governatore della Sicilia, per Gela “si parla di un piano che chiude nettamente” e “pretende che la Sicilia autorizzi i pozzi di petrolio e continui, quindi, massicciamente l’attivita’ estrattiva per poi portare altrove questo petrolio. Quindi veniamo beffati due volte: da un lato ti rovinano il paesaggio, l’ambiente, con i pozzi e dall’altro licenziano i lavoratori”.

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L’Eni avrebbe portato al tavolo un piano da 2 miliardi e 250 milioni: 1,8 miliardi, gia’ concordati con la Regione Siciliana, per l’aumento della produzione di gas, in modo da coprire il 20% del fabbisogno nazionale, per la ricerca nuovi campi gas, per l’ottimizzazione dei campi off share; 250 milioni per la riconversione al biocarburante, e 200 milioni di investimenti sulla bonifica. In termini di occupazione si tratterebbe di 320 unita’ per il biocarburante, 300 per lo sviluppo Up Stream, 130 per formazione sicurezza, 40 risanamento ambientale, per un totale di 790. Un programma bocciato su tutta la linea da Crocetta, pronto a interrompere la trattativa per l’apertura di nuovi pozzi, e da tutti i sindacati. Il motivo e’ la certezza del piano. Secondo Cgil, Cisl e Uil, oggi rappresentate dai segretari generali di categoria, i 2.250 milioni di euro di investimenti sarebbero legati ad autorizzazioni future ed incerte, mentre i 700 milioni di euro, previsti dal precedente accordo, sarebbero stati certi.

Intanto, il ministro dello Sviluppo Economico, Federica Guidi, annuncia di aver riconvocato il tavolo sullo stabilimento Eni di Gela alle 12 di oggi ”per riavviare il dialogo”. Vedremo.

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