Estetica, politica e immagine invisibile: l’altro volto dell’arte

12 novembre 2018

La performance come immagine invisibile, eppure straordinariamente evidente, di qualcosa che si è perduto, ma che, in qualche modo, continua a esistere. Lasciarsi avvolgere dall’estetica forte di “Temporary Orders”, la prima mostra-azione di Public Movement in Italia, è un’emozione complessa, a tratti ambigua, sempre giocata su un filo tagliente di intensità. Con una sensazione irriducibile di invisibile realtà, che somiglia molto a una rappresentazione dell’arte in generale. Ne abbiamo parlato con il direttore di Public Movement, Dana Yahalomi.

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“Per me la performatività, l’evento dal vivo – ha spiegato ad askanews – è qualcosa che non rimane qui, ma ci permette di dare risalto a qualcosa che non necessariamente vogliamo portarci via. E questo solleva un tema interessante, legato al fatto che noi da qui a un certo punto scompariamo: non siamo una sorta di esercito che vuole riportare in vita cose scomparse, ma stiamo effettivamente cercando un modo per ricordare queste cose senza più possederle”.

La perfomance va in scena nella galleria Vistamarestudio di Milano, ed è significativo che uno spazio che è ovviamente anche commerciale proponga una mostra nella quale non c’è nulla alle pareti, né resta una documentazione. Un ulteriore passo verso una definizione evoluta di atto artistico, a un livello più risonante, nel quale la ricerca dei Public Movement, che in questo caso affrontano il teme delle opere d’arte scomparse nel periodo tra le due guerra in Italia, unisce estetica e politica.

“L’estetica – ha aggiunto Dana Yahalomi – è una parte fondamentale dell’arte, e, sì, certo, l’estetica è politica e la politica è estetica, e la relazione tra le due cose va avanti da sempre. Quello che cerchiamo noi è certamente l’estetica, ma anche qualcosa di fisico: l’esperienza che si vive come pubblico, sul proprio corpo. Non si sta solo a guardare qualcosa che si offre solo alla contemplazione, ma c’è qualcosa che fisicamente si modifica, in base al modo in cui queste informazioni ti arrivano nella mente e anche nel corpo”.

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Interessante anche l’ossimoro del titolo: Ordini (al plurale), ma temporanei. “L’idea – ha concluso Yahalomi – è che ci sia sempre un desiderio di giungere a un ordine, a una disciplina. Ma questo ordine cambia continuamente e quindi il suo essere temporaneo è paradossale nei confronti del desiderio e ciò è stato un aspetto molto importante per me quando ho immaginato questo lavoro”. Le performance nella galleria milanese si tengono, in piccoli gruppi di spettatori, fino al 15 dicembre.

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