Europa e lotta alla povertà, Orlando studia da leader Pd. Allargare il campo e aprire le porte

Europa e lotta alla povertà, Orlando studia da leader Pd. Allargare il campo e aprire le porte
18 marzo 2017

La differenza nello stile rispetto a Renzi è la prima cosa che colpisce quando il ministro della Giustizia e candidato alla segreteria del Partito democratico Andrea Orlando arriva alla Fondazione Feltrinelli a Milano, dove lo attendono i militanti e i sostenitori del suo progetto. A piedi, con poche persone intorno, parla senza ammiccamenti e a voce piuttosto bassa, quasi con una punta di imbarazzo. Le differenze poi, che in qualche modo diventano il sale della sua proposta congressuale, si amplificano all’interno della sala dell’evento, nella struttura progettata da Herzog & De Meuron. Qui Orlando usa parole scomode, come “povertà”, o difende idee che sono pesantemente sotto attacco in molti Paesi, come quella di “Europa”. Senza dimenticare il rifiuto della logica del populismo, anche se poi è capitato di sentire parlare di “diseredati”. “Io credo – ha detto dal palco della Fondazione – che dobbiamo avere la forza e il coraggio di riscoprire parole che sono uscite dal nostro vocabolario. La parola ‘povertà’ è scomparsa dal nostro vocabolario, è uno stigma che va nascosto e invece se noi vogliamo contrastarlo dobbiamo rimetterlo sotto i riflettori”. Il ministro ha citato il cardinale Carlo Maria Martini, per lunghi anni guida spirituale milanese: “Dobbiamo battere la nostra pigrizia – ha detto – per costruire un nuovo stato sociale, che non è un concetto relitto del passato, ma è un compagno storico della democrazia”. Orlando poi ha voluto prendere un impegno, parlando anche del tema delle periferie: “In tre anni debellare la povertà assoluta. Le periferie non sono solo quelle geograficamente estreme, la periferia ti esplode a volte al piano di sotto, con una famiglia che prima ce la faceva e poi non ce la fa più”.

Un altro aspetto forte del discorso milanese di Andrea Orlando è quello del sostegno al progetto europeista, in un periodo storico nel quale quasi ovunque soffia forte un vento contrario all’Unione. “L’Europa – ha detto – è la dimensione minima all’interno della quale si combatte la diseguaglianza sociale. I nazionalisti ci invitano a ritornare in casa nostra e così a diventare ancora più deboli. Il Pd è l’unico partito rimasto ancora europeista in Italia. Un grande partito europeista deve avere anche l’ambizione di svolgere un importante ruolo europeo. Una lotta alle politiche del mero rigore si vince con un campo di forze che vanno oltre il campo dei socialisti”. Orlando ha perfino ipotizzato un congresso del Pse, nel quale però coinvolgere non solo i maggiorenti, ma anche “i militanti e gli elettori”. Allargare il campo, includere, aprire le porte. Sono stati anche questi i fili rossi del discorso e, per quanto si è potuto percepire a Milano, anche del progetto politico del ministro. “Noi dobbiamo rilanciare l’idea di un sistema di alleanze che oggi non abbiamo – ha ribadito Orlando – perché abbiamo rotto legami con i soggetti sociali e quindi con i soggetti politici. Se apri dei fronti con tutti, poi tutti si mettono insieme e ti fanno un mazzo così. Ecco perché è interessante il lavoro che sta facendo Pisapia a Milano, una nuova alleanza per ricostruire l’eguaglianza sociale. La democrazia sta cadendo perché se la sta mangiando la diseguaglianza”.

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Una parte del discorso è stata riservata proprio a Milano e al suo “modello”, in relazione a una categoria sociale, quella dei giovani che hanno già concluso la scuola, ossia che, nella citazione di Orlando, stano passando la “linea d’ombra”. “A Milano il populismo non ha attecchito – ha detto – e io credo che questo abbia a che fare con un dato citato pochi giorni fa dal sindaco Sala: a Milano sono cresciute le persone tra i 25 e i 40 anni, io credo che questa sia una lettura del perché il populismo non ha attecchito. Milano non ha fatto vincere il populismo perché ha saputo dare una risposta a questa domanda, cosa che l’Italia guidata dal Pd non ha saputo fare in tutto il Paese. Il Pd non ha saputo parlare a questa generazione, perché il più giovane governo della storia non ha fatto percepire questa opportunità come per tutti. Noi dobbiamo ripartire dalle opportunità per tutti. Abbiamo raccontato di un’Italia che ce la faceva, ma non abbiamo parlato di chi non ce la stava facendo. Abbiamo scambiato il risultato delle europee per un punto d’arrivo, mentre era solo un punto di partenza”.

Lo stile di Orlando, si diceva all’inizio, diverso da quello di Renzi. Ma qualche frecciata non è mancata: quando ha citato Aldo Moro, infatti, il ministro della Giustizia ha voluto aggiungere che il pensiero dello statista democristiano era articolato e “non faceva i tweet”. Poi una battuta sul congresso del Lingotto, legata all’accusa di essere un nostalgico: “Quando ho visto la sfilata di vecchie glorie al Lingotto, mi sono rasserenato sulla mia campagna”. E ancora, quando ha ricordato che “a Firenze le famiglie più ricche sono le stesse dal 1427”, Orlando si è subito premurato di dire che non voleva fare riferimento ai sindaci che si sono succeduti nella città toscana. Andrea Orlando, comunque, ha parlato anche degli avversari politici veri, quella “destra pericolosa che propone capri espiatori” e quel populismo “che è un veleno entrato anche nel nostro partito. Ma le ronde proposte dalla Lega non si combattono con le ronde proposte dal Pd”. Insomma, la famosa battuta di Nanni Moretti a un più giovane D’Alema (“Di’ qualcosa di sinistra!”) alla Fondazione Feltrinelli oggi ha trovato probabilmente delle risposte. Che devono comunque fare i conti con dei sondaggi che, al momento, danno Orlando comunque lontano da Renzi. Ma il ministro ha risposto che “i sondaggi dicono tra loro cose diversissime, comunque la partita è molto lunga, io sento un clima che cresce e sento la possibilità di ribaltare nettamente dei pronostici che mi sembrano scritti con troppa fretta”. La sfida, insomma, non si ferma.

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