Eurozona in bilico tra rischi deflazione e “regola Draghi”

Eurozona in bilico tra rischi deflazione e “regola Draghi”
7 gennaio 2015

Il forte calo dell’euro sul mercato dei cambi, legato alla crescente attesa di misure da parte della Bce, potrebbe smorzare i rischi di una deriva deflazionistica nell’Unione monetaria. Uno scenario che si è fatto più consistente dopo i dati diffusi da Eurostat, a dicembre il caro vita è caduto a livelli negativi per la prima volta dal 2009, con un meno 0,2 per cento. E la contestuale caduta del petrolio rischia di esacerbare l’indebolimento dei prezzi al consumo. Ma secondo una regola enunciata alcuni mesi or sono dal presidente della Bce, Mario Draghi (foto), i recenti cali dell’euro dovrebbero favorire una risalita dell’inflazione. Era il marzo del 2014 e il quadro presentava alcune rilevanti differenze rispetto alla situazione attuale. L’inflazione era bassa, allo 0,5 per cento, ma non ancora sottozero, ma soprattutto i cambi dell’euro si stavano muovendo da tempo in una direzione diametralmente opposta a quella attuale. Invece di calare la valuta condivisa continuava a rafforzarsi, fino a sfiorare quota 1,40 sul dollaro. Ed era un fattore che a più riprese la Bce aveva indicato come problematico, dato che i rafforzamenti dell’euro tendono a ridurre l’inflazione importata.

“Come regola generale – aveva detto Draghi nella consueta conferenza stampa al termine del Consiglio direttivo di inizio mese – ogni apprezzamento permanete effettivo del 10 per cento sul tassi di cambio abbassa l’inflazione tra 40 e 50 punti base. Così possiamo dire che tra il 2012 e oggi circa 0,4 o 0,5 punti di inflazione sono stati sottratti dall’apprezzamento dei cambi”. Draghi si riferiva al fatto che a quei livelli (vicino a quota 1,40 dollari) l’euro era di circa il 9 per cento più elevato rispetto ai minimi segnati nel luglio del 2012, poco sopra 1,20 dollari. Da allora però la valuta condivisa ha cambiato rotta. E a 1,1841 dollari di oggi si attesta ad un valore di circa il 15 per cento più basso rispetto al picco di marzo 2014. Se la regola Draghi fosse valida anche nella direzione opposta quindi, la dinamica dei cambi dovrebbe favorire un rafforzamento di almeno mezzo punto sull’inflazione, appena caduta al meno 0,2 per cento. Tuttavia sempre nel marzo scorso il presidente della Bce invitava alla cautela in queste valutazioni, perché prima dei rafforzamenti l’euro aveva subito deprezzamenti.

In più, c’era un’altra differenza a inizio 2014 di rilievo rispetto alla situazione attuale: il prezzo del petrolio era stabilmente superiore ai 100 dollari ed orientato al rialzo.
Tanto che nel giugno dello scorso anno aveva segnato un picco attorno ai 111 dollari. Ora le quotazioni dell’oro nero risultano più che dimezzate, proprio oggi anche il barile di Brent, il greggio di riferimento del mare del Nord, è finito sotto la soglia psicologica dei 50 dollari, come già accaduto sul barile di Wti americano. E sempre nel marzo scorso Draghi rilevata che i due terzi dei quasi due punti persi dall’inflazione nei due anni precedenti erano da attribuire ai cali dei prezzi dell’energia. D’altra parte proprio questi forti cali del greggio, che ora gli economisti iniziano a definire di portata storica, dovrebbero avere ripercussioni positive sui livelli di crescita dei paesi importatori. E quindi indirettamente creare i presupposti anche per un rafforzamento della domanda interna.

Secondo la Commissione europea un dato “temporaneamente negativo” dell’inflazione nell’area euro “va distinto dalla deflazione”, che invece è un calo ampio e generalizzato dei prezzi che si autoalimenta. “Continuiamo a ritenere che i cali delle materie prime seguiteranno a pesare, nel breve termine la bassa inflazione continuerà, ma poi risalirà con ripresa economica”, ha affermato una portavoce dell’esecutivo comunitario. Bruxelles tuttavia non ha voluto intromettersi sulle possibili misure che la Bce potrebbe decidere il 22 gennaio, quando si terrà il primo Consiglio direttivo “operativo” del 2015. Intanto già oggi si è svolto un direttorio con un confronto tra i banchieri centrali per fare il punto della situazione, oltre che sul quadro dell’inflazione anche sulla crescente incertezza che circonda la Grecia, a fine mese chiamata a elezioni anticipate.

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