Ex Ilva: arrestato l’avvocato Piero Amara. Pm: pressioni su Csm per favorire Capristo

Ex Ilva: arrestato l’avvocato Piero Amara. Pm: pressioni su Csm per favorire Capristo
Piero Amara
8 giugno 2021

Piero Amara è stato arrestato nell’ambito di uno dei filoni di indagine sull’Ilva condotto dalla procura di Potenza. L’inchiesta è la stessa che nel maggio 2020 aveva già portato ai domiciliari l’allora procuratore di Taranto, Carlo Maria Capristo, pure lui raggiunto da una nuova misura cautelare dell’obbligo di dimora eseguita dalla Guardia di Finanza. Amara è l’avvocato siciliano finito al centro dell’inchiesta condotta sul falso complotto Eni e fu lui a rivelare l’esistenza della cosiddetta “Loggia Ungheria” al pm milanese Paolo Storari che poi consegnò i verbali dei suoi interrogatori all’ex consigliere del Csm Piercamillo Davigo.

Nel mirino dei pm potentini sono finiti presunti favoritismi in procedimenti penali relativi all’ex Ilva di Taranto. Il convolgimento di Amara, accusato di corruzione in atti giudiziari, riguarda il suo ruolo di ex consulente legale esterno per l’amministrazione straordinaria dello stabilimento siderurgico tarantino e i rapporti di natura illecita che in questa veste avrebbe intrattenuto con l’allora capo della procura tarantina. Il blitz della Guardia di Finanza ha portato anche in carcere un poliziotto, Filippo Paradiso, considerato dagli inquirenti intermediario tra Amara e il magistrato, e ai domiciliari l’avvocato del foro di Trani Giacomo Ragno, già condannato nel processo sul cosiddetto “Sistema Trani”, che si è visto sequestrare 278 mila euro, somma che secondo l’accusa sarebbe stata incassata dal legale “nel contesto del patto corruttivo”. Misura cautelare ai domiciliari anche per Nicola Nicoletti, socio di Pwc ed ex consulente esterno di Ilva.

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Il Pubblico ministero

Da Amara pressioni sul Csm Piero Amara si è reso protagonista di “un’incessante attività di raccomandazione, persuasione, sollecitazione” condotta “sui membri del Csm per favorire la nomina di Carlo Maria Capristo a capo della procura di Taranto. E’ l’imputazione che ha portato all’arresto dell’avvocato siciliano, già coinvolto nell’inchiesta milanese sul falso complotto Eni e al centro del caso sui verbali segreti con rivelazioni sull’esistenza della “Loggia Ungheria”, e dell’ex procuratore capo di Taranto nell’ambito di uno dei filoni di inchiesta condotti dai pm di Potenza sull’ex Ilva.

Secondo l’ipotesi accusatoria formulata dai magistrati di Potenzia diretti dal procuratore Francesco Curcio, Amara e il poliziotto Filippo Paradiso avrebbero esercitato pressioni “su membri del Csm (da loro conosciuti direttamente o indirettamente) o su soggetti ritenuti in grado d’influire su questi ultimi, in occasione della pubblicazione di posti direttivi vacanti d’interesse del Capristo” che dopo aver guidato la procura di Trani era interessati al altri incarichi di vertice come “la Procura Generale di Firenze, la Procura della Repubblica di Taranto ed altri ancora”. In cambio il magistrato avrebbe commesso una serie di irregolarità per “accreditare presso l’Eni Amara stesso quale legale intraneo agli ambienti giudiziari tranesi in grado d’interloquire direttamente con i vertici della procura”.

Capristo vendeva sua funzione giudiziaria ad Amara L’ex procuratore Carlo Maria Capristo “stabilmente vendeva” agli ex consulenti esterni dell’Ilva in amministrazione straordinaria, Piero Amara e Nicoletti, “la propria funzione giudiziaria, sia presso la Procura di Trani (a favore del solo Amara) che presso la Procura di Taranto (a favore di Amara e Nicoletti)”. Lo scrive il procuratore di Potenza, Francesco Curcio, nell’imputazione formulata nei confronti dell’avvocato siciliano, finito oggi in carcere in uno dei filoni di inchiesta sull’ex Ilva di Taranto. Capristo, destinatario di una misura cautelare dell’obbligo di dimora, infatti “si autoassegnava” in delega con i sostituti Antonio Savasta (condannato a 10 anni nel processo di primo grado sul cosiddetto “Sistema Trani”) e Alessandro Pesce i fascicoli di indagine aperti in seguito agli “esposti anonimi redatti dallo stesso Amara” nonostante “la palese strumentalità” dell’iniziativa giudiziaria intentata dall’avvocato siciliano.

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Obiettivo di Amara, ricostruiscono i pm di Potenza, era quello di “accreditarsi presso i vertici Eni quale soggetto in grado di interloquire su tali procedimenti, nei quali veniva prospettata la fantasiosa esistenza di un preteso (ed in realtà inesistente) progetto criminoso che mirava a destabilizzare i vertici dell’Eni ed in particolare a determinare la sostituzione dell’amministratore Delegato De Scalzi” allora indagato a Milano per corruzione internazionale nell’inchiesta sulla presunta maxi tangente di Eni in Nigeria (il processo di primo grado si è concluso con l’assoluzione di Descalzi, Scaroni e di tutti gli altri imputati”. Esposti anonimi che, attraverso una serie di “delazioni”, miravano a “fare apparire De Scalzi come vittima di un complotto ordito da soggetti che avevano rilasciato presso la procura di Milano dichiarazioni indizianti a suo carico”. Nonostante tutto questo, Capristo decise di avviare “indagini anche approfondite ed inconsuete, se non illegittime (fra cui escussioni ed acquisizioni tabulati)”, sollecitando i suoi sostituti “ad effettuare ulteriori approfondimenti investigativi che risultavano funzionali agli interessi di Amara”.

Il Gip

“Per gli amici favori, per gli altri la legge”. Così il gip di Potenza, Antonello Amodeo, descrive la “bipartizione comportamentale” dell’ex procuratore di Taranto, Carlo Maria Capristo, nell’ordinanza che ha portato 5 misure cauletari, tra cui l’arresto (in carcere) dell’avvocato Piero Amara e un provvedimento di obbligo di dimora per l’ex capo della procura di Trani e Taranto, già finito agli arresti domiciliari. Il giudice potentino, il “fil rouge” che lega i vari episodi illeciti al centro del filone di inchiesta sull’ex Ilva di Taranto è prorpio “la modalità di gestione dell’ufficio di procura e di esercizio delle funzioni di procuratore” da parte di Capristo. Una gestione che “sia a Trani sia a Taranto” era “orientata nel senso tipicamente corruttivo collusivo”. Secondo il giudice che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare, “attorno alla figura di Capristo ruotava una cerchia di fedelissimi che beneficiavano dei suoi favori e nel cui interesse abusava dei poteri e della qualifica di procuratore”.

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