Gasolio rubato in Libia e rivenduto in Europa, 9 arresti

18 ottobre 2017

Nove persone sono finite in manette a Catania con l’accusa di aver rubato gasolio in Libia e rivenduto illecitamente in Italia. Le accuse sono di associazione a delinquere internazionale dedita al riciclaggio. Il gasolio libico veniva asportato dalla raffineria libica di Zawyia (a 40 km ovest da Tripoli) e destinato, dopo miscelazione, al mercato italiano ed europeo. Alla banda, che si è avvalsa anche dell’opera di miliziani libici armati dislocati nella fascia costiera confinante con la Tunisia, è stata contestata l’aggravante mafiosa dal momento che ne faceva parte un affiliato ritenuto vicino alla famiglia mafiosa dei Santapaola-Ercolano. In un anno di indagini, i militari della Guardia di Finanza di Catania sono riusciti a documentare dettagliatamente oltre 30 viaggi nei quali sono stati importati via mare dalla Libia oltre 80 milioni di kg di gasolio per un valore all’acquisto di circa 30 milioni di euro. Tra i coinvolti nel traffico internazionale figura tra gli altri l’amministratore delegato della Maxcom Bunker il quale si sarebbe avvalso della complicità di alcuni dipendenti della società. Il gasolio libico è un carburante di qualità inferiore destinato al “bunkeraggio” ossia al rifornimento, in ambito portuale, di carburanti o di combustibili ad unità navali.

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Il prodotto, dopo miscelazioni presso uno dei depositi fiscali della Maxcom di Augusta, Civitavecchia e Venezia, veniva immesso nel mercato italiano ed europeo (Francia e Spagna in particolare) ad un prezzo similare a quello dei prodotti ufficiali pur essendo la qualità dello stesso inferiore. L’associazione criminale mirava ad acquisire la disponibilità di un flusso continuo di gasolio libico ad un prezzo ribassato rispetto alle quotazioni ufficiali (in alcuni casi anche fino al 60%) garantendo alla società italiana acquirente un margine di profitto costante e più elevato. Gli ideatori dell’affare internazionale, al fine di ostacolare la ricostruzione dei passaggi materiali, documentali e finanziari sottesi al commercio di gasolio, hanno costruito un variabile sistema di società, a più livelli, poste fittiziamente tra venditori e acquirenti finali. In una fase successiva, l’organizzazione ha mutato il sistema di frode: il prodotto non era più accompagnato da certificati attestanti la falsa origine saudita ma da falsi certificati libici. Per quanto concerne la successiva distribuzione sul territorio nazionale del carburante importato dalla Libia dalla Maxcom Bunker SPA, le Fiamme Gialle catanesi sono riuscite a tracciare, in alcuni casi, la destinazione finale del gasolio immesso in Sicilia e in Campania riuscendo a smascherare una distinta associazione a delinquere finalizzata alla sistematica evasione dell’IVA e alla vendita a distributori stradali “compiacenti” di gasolio “extra-rete”. L’articolato sistema di frode ha comportato un mancato incasso per il bilancio nazionale e quello comunitario di imposte (IVA) per un ammontare di oltre 11 milioni di euro.

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