Greta Thunberg si apre, ‘ho la sindrome di Asperger’

Greta Thunberg si apre, ‘ho la sindrome di Asperger’
Greta Thunberg
1 settembre 2019

“Ho la sindrome di Asperger e questo vuol dire che qualche volta sono un po’ diversa dalla norma. E, date le circostanze, essere diversa e’ un superpotere”. Lo twitta l’attivista Greta Thunberg aprendosi su Twitter sulla sua sindrome, e spiegando come di solito non parla pubblicamente della sua diagnosi non per nascondersi dietro di questa ma perche’ “so che molta gente ignorante la vede ancora come una malattia, o qualcosa di negativo. E credetemi la mia diagnosi mi ha limitato” almeno in precedenza. Ora invece – aggiunge – Greta – e’ passato “perche’ ho trovato un senso, un significato in un mondo che talvolta sembra superficiale e senza senso a molta gente”.

COS’E’ LA SINDROME DI ASPERGER

La Sindrome di Asperger è stata descritta per la prima volta dallo psichiatra e pediatra austriaco, Hans Asperger in lingua tedesca nel 1944 e riscoperta e tradotta in inglese dalla psichiatra britannica, Lorna Wing nel 1981. Questa sindrome ricalca le caratteristiche del disturbo autistico per quanto riguarda la compromissione qualitativa dell’interazione sociale e la modalità di comportamenti, interessi e attività ristretti, ripetitivi e stereotipati; ma si differenzia dall’autismo classico per l’assenza della compromissione qualitativa del linguaggio e del ritardo nello sviluppo cognitivo. Compare per la prima volta, come categoria diagnostica, nel DSM-IV (1994) nei “Disturbi Pervasivi dello Sviluppo” e successivamente inglobata, nel DSM-5 (2013) nella definizione di “Disturbi dello Spettro dell’Autismo” (ASD – Autism Spectrum Disorders). Rimane tuttora come categoria diagnostica a sé stante nel ICD-10. Quanto è diffusa questa sindrome, è difficile affermarlo con certezza, in quanto la maggior parte dei dati in letteratura non fornisce una chiara separazione tra Asperger e altri disturbi dello spettro Autistico.
I dati ricavati da una recente revisione attestano la prevalenza intorno a 6 casi su 10.000 con un rapporto maschi/femmine di 5 a 1. (fonte Società Italiana di Pediatria)

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