L`italiana a Wuhan: vita non torna come prima, serve adattarsi

L`italiana a Wuhan: vita non torna come prima, serve adattarsi
Sara Platto
30 aprile 2020

A venti giorni dalla fine del lockdown totale, terminato l`8 aprile scorso dopo due mesi e mezzo di isolamento, Sara Platto, la docente italiana che vive a Wuhan, racconta “dal futuro” la vita quotidiana nella città cinese. Qui la maggior parte dei negozi (non tutti) ha riaperto ma la vita riprende molto lentamente, anche se circolano più auto e c`è più gente per strada. Finalmente si può uscire di casa e andare a trovare gli amici, ma l`uso delle mascherine rimane un obbligo. Anzi c`è ancora chi va in giro tutto bardato, con guanti, occhiali e altre forme protezione, perché è ancora spaventato e teme di contagiarsi. Gli assembramenti sono tuttora vietati – anche se è dal 19 marzo che non si registrano nuovi casi di Covid-19 – e il distanziamento sociale rimane in vigore. “Ma la vita non torna come prima. Tutto cambia, anche le persone. Quindi bisogna essere creativi. Bisogna essere aperti alle novità, saper cogliere le opportunità ed essere capaci di adattarsi alla nuova situazione “. Sara Platto racconta la sua realtà, che potrebbe avere aspetti analoghi alla vita che ci aspetta fra un mese in Italia.

Un punto di vista, quello della docente italiana che insegna “Benessere e comportamento animale” alla Jianghan University, che giunge dalla città dove l`epidemia è scoppiata. Le misure di contrasto adottate qui anticipano di circa un mese quelle dell`Italia, che fa a sua volta da battistrada in Europa di una/due settimane. La Cina, intanto, rimane chiusa agli stranieri. E chi vuole uscire dall`Hubei, la regione di Wuhan, deve sottoporsi a un test seriologico e attendere il risultato per 24 ore in un hotel. Personalmente, per Sara Platto, “non è che sia cambiato molto” rispetto ai giorni dell`isolamento più duro. Le occasioni di vita sociale sono poche: “La mia Università non ha ripreso, e nemmeno le scuole hanno riaperto, qui a Wuhan”, spiega in un`intervista ad Askanews via WeChat, l`app cinese più diffusa e utilizzata anche come mezzo di pagamento virtuale. “Certo, si può uscire: ma dove vai? Nei bar e nei ristoranti non si può entrare, il cibo si prende e si porta via”. Tutti i luoghi della socialità rimangono off limits. Al parco si può andare ma è vietato stare in gruppo. “C`è sempre un limite, si sta molto attenti”, spiega Sara, che è anche consulente scientifico per la China biodiversity conservation & Green development foundation.

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“Qui a Wuhan i parrucchieri sono aperti”, dice Sara, che continua a lavorare a da casa e segue nei ritagli di tempo quello che succede in Italia. Sulle restrizioni agli spostamenti, suggerisce di prendere spunto dall`esperienza cinese: allentare gli obblighi nelle zone meno colpite del contagio. “A Wuhan la situazione è stata la più tragica, quindi è stato imposto un lockdown più intenso. Qui è stato davvero bloccato tutto, non come in Italia. Ma in altre zone della Cina i negozi sono rimasti aperti”. Quindi, “bisogna usare la logica. In Italia riaprirei selettivamente in base alla situazione nelle diverse regioni. Dove e quando non ci saranno casi, al Sud per esempio, stando attenti, usando tutte le precauzioni, si può ripartire. Altre Regioni invece, come la Lombardia, meglio mantenere lockdown e nessuno entra o esce”.

Visto dalla Cina, come prepararsi per la Fase 2 in Italia? “Non posso dare un consiglio universale, ognuno vive l`epidemia in modo diverso, anche per il lavoro che fa – dice Sara Platto – . Alla fine quello che ci ha fatto andare avanti è stata la comunità . Qui ci siamo sostenuti a vicenda, abbiamo condiviso il cibo, scambiato informazioni”. L`epidemia, spiega, ha riscritto la scala di valori di molti, portando un senso di ridimensionamento di alcuni aspetti materiali, come il business, l`azienda. “E` diventato più importante guardare chi c`è vicino a noi. Questa esperienza rende tutti trasparenti, ti fa capire chi sono i veri amici e chi no”. E a chi punta tutto sul sostegno delle istituzioni dice: “Non affidatevi solo allo Stato, perché non si sa se e quando si muove. Meglio affidarsi alla comunità”. “Ce la farà – conclude – chi si saprà adattare meglio”. askanews

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