Mythos Opera Festival, Aida tra sogno e delirio a Taormina

Mythos Opera Festival, Aida tra sogno e delirio a Taormina
28 agosto 2018

“Sogno… delirio… è questo!” Lo stupore di Radames – al secolo il tenore Rudy Park nell’edizione di Aida in forma da concerto data a Taormina per il Mythos Opera Festival, lo scorso 24 agosto – sconvolto dopo essere stato tradito da Aida, ma, principalmente, dopo avere lui stesso tradito la Patria, è lo stesso stupore che deve avere provato il pubblico del Teatro Antico che, acquistato il biglietto per ascoltare o assistere all’Aida di Verdi si è trovato immerso, tra il secondo e il terzo atto, in un fantomatico Gala, con consegna dei Premi Di Stefano a due grandi del panorama lirico, il regista Franco Zeffirelli e il soprano Lucia Aliberti.

Ma andiamo con ordine, quello che forse è mancato ad una serata di nobile principio, ma di raccogliticcia e pressapochista realizzazione. Ben venga infatti la realizzazione in forma da concerto dell’opera verdiana, usanza ormai comune in tutti i teatri e festival estivi. Ben venga anche la consegna dei premi intitolati al grande tenore Giuseppe Di Stefano – se non fosse, magari, che proprio due giorni, prima, il 22 agosto, all’interno dello stesso Mythos Opera Festival, non si fosse già provveduto ad una consegna di simile natura, in una serata funestata da pioggia, lampi e tuoni, e in cui sarebbe dovuta andare in scena, sempre in forma da concerto, Cavalleria rusticana di Mascagni. Lodevoli iniziative, non c’è dubbio, ma perché collocarle a ridosso, l’una all’altra, e in accoppiata con la realizzazione di due opere? Perché collocare la premiazione tra il secondo e terzo atto? Non sarebbe stato preferibile effettuarla ad apertura di serata se non, ancora meglio raggruppare le premiazioni in un’unica serata? Evitando così a pubblico, interpreti, ospiti illustri, compagini – orchestrali e corali – siparietti che, più che aggiungere, hanno tolto qualcosa al pathos, alla bellezza, al lirismo di un’opera, che deve essere gustata senza che nulla ne offuschi l’immensità artistica.

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Ma veniamo alla serata del 24, del resto su quella del 22, intitolata Premio Internazionale Giuseppe Di Stefano – Cavalleria Rusticana concerto Gala, si può solo ribadire di come sia stata funestata da pioggia, lampi e tuoni e di come siano stati vani i diversi tentativi di riprendere lo spettacolo, dopo ben tre interruzioni, con esibizioni anche a cappella del Coro Lirico Siciliano e degli ospiti, tra i quali spiccavano i nomi di Giovanna Casolla e Maria Dragoni, cui sono andati i premi intitolati al grande tenore siciliano insieme ad Alberto Mastromarino, Raffaella Angeletti, Elisabetta Fiorilli, Rudy Park e Giuseppina Piunti. Intitolata anche questa con un riferimento al tenore di Motta Sant’Anastasia, “Omaggio a Giuseppe Di Stefano Aida Concert-Gala”, la serata vedeva la partecipazione delle compagini della sera del 22: Orchestra della Calabria e Coro Lirico Siciliano, quest’ultimo quasi ormai un habitué del palco taorminese essendo stato più volte ingaggiato per produzioni operistiche negli anni precedenti, e di un cast composto da Valeria Attianese, nel ruolo della schiava etiope che da il titolo all’opera, Rudy Park, tenore coreano attualmente sulla cresta dell’onda per la potenza vocale, in quello di Radames, poi Amneris, Natasha Novitskaia; Amonasro, Carmine Monaco; Ramfis, Alexander Anisimov; Il Re, Vassily Savenko; Messaggero, Sergio Martinoli; Sacerdotessa, Edit Suta.

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Direttore della serata, Dian Tchabanov, che si alterna alla guida dell’Orchestra della Calabria, qui non proprio nel suo assetto completo, con Filippo Arlia, alla cui bacchetta è affidata La Traviata in scena sempre per il Mythos e sempre al Teatro Antico di Taormina, il 28 agosto. Regista della serata – insolito in una versione in forma da concerto, considerato anche che i solisti sono stati seduti tutto il tempo con tanto di spartito davanti, senza neanche le consuete entrate e uscite di scena secondo i suggerimenti del libretto, e accennando solo alcuni movimenti – l’ex on. Nino Strano, che rinnegando “il passato” politico – come lui stesso ha affermato durante la pausa/premiazione – è tornato a quel mestiere che lo ha portato a conoscere e frequentare Franco Zeffirelli, cui infatti andava il premio Di Stefano. Momento premiazione che ha visto il premio per Zeffirelli ritirato da Luca Verdone, fratello di Carlo Verdone, e successivamente la performance dell’orchestra di Dolce sentire, colonna sonora del celebre Fratello Sole, Sorella Luna, capolavoro zeffirelliano insieme a Romeo e Giulietta, in parte proiettato su uno schermo. Fa un po’ specie che su un palco come quello del Teatro Antico e in mezzo ad un concerto lirico, non sia stata proprio la carriera teatrale e di regista d’opera di Zeffirelli ad essere ricordata, ma queste sono probabilmente le scelte registiche operate.

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La premiazione è continuata con la presenza di Lucia Aliberti, che si è esibita anche in Vissi d’arte dalla Tosca di Puccini e nel Brindisi da La Traviata, splendido soprano belliniano, premiata per i suoi 40 anni di attività con il Bellini d’oro, definita tra gli anni ’80 e ’90 la “nuova Callas”, proprio per il timbro e la specificità della voce unita alle doti di attrice, e che da anni ormai opera in territorio tedesco. Tutto questo sempre tra il secondo e terzo atto di Aida. Terzo atto che ha visto luce, se così si può dire intorno alla mezzanotte, orario forse prossimo al reale tempo e luogo in cui si consuma, con le vicende dei due antichi amanti illuminati dalla luna. Sarò stata anche questa una delle idee della regia? Quanto al versante musicale e canoro, quello che solitamente emerge maggiormente in una versione da concerto, si deve dire che i primi due atti sono scivolati abbastanza agevolmente senza particolari picchi, ma nella consueta e abituale linea di una esecuzione di routine: tutto forte, poche nouances, più sull’avversato stile zumpapa, che non dando risalto alle magnifiche e spesso sognanti e malinconiche pagine verdiane.

La stessa Celeste Aida nello slancio eccessivo di Rudy Park sembrava più un grido di battaglia, anticipatore del corale Guerra, di alcune pagine successive. Stessa situazione, anche se non in forma aggressiva, per le due voci femminili. Valeria Attianese, sfoggiava bei filati pur peccando sul piano dei fiati e della rotondità dei suoni, poco drammatico il suo timbro per riuscire a coprire tutte le sfumature del ruolo, l’Amneris di Natasha Novitskaja, soffriva parecchio per fraseggio, poche le parole che si sono riuscite ad intendere a causa della pronuncia affetta da normale accento slavo. Molto bene la Sacerdotessa di Edit Suta e i due bassi Alexander Anisimov, come Ramfis, e Vassily Savenko, come Il Re, e il Messaggero di Sergio Martinoli.
Coro e Orchestra come si diceva inizialmente non in forma migliore. Il primo nonostante in questi anni sia cresciuto di numero, tradisce ancora la sua linea vocale d’origine più polifonica che lirica, e deve ancora risolvere il problema di superare, specialmente nei concertati l’insieme orchestrale, problema questo che continua ad affliggere più la sezione maschile, in particolare i tenori.

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L’orchestra dal canto suo tradisce, nella mancanza di suono d’insieme e di colore, lo scarso numero di giorni avuti per provare, e il fatto che sia composta da elementi non abituati a suonare insieme se non in casi particolari: diverse le imprecisioni nelle entrate, come anche nel chiudere alcune frasi, ottoni e legni troppo enfatici, archi spesso sofferenti negli insiemi. Tutti particolari che più giorni di prove, e una buona conoscenza delle parti per alcuni, avrebbero sicuramente risolto. Ma questo ormai è un lusso qui, come in tutta Italia, il tendere al risparmio e al facile guadagno fa si che si lesini o passi sopra qualcosa che è in questo caso indispensabile: la perizia, la professionalità e soprattutto il tempo per poterle affinare e mettere in atto. Un’opera o la si conosce – come accade in compagini corali e orchestrali di teatri dove si cambia messa in scena nel giro di due giorni – o ci si deve rassegnare a usare il tempo per studiarla in modo che il pubblico, pagante, non si ritrovi ad abbandonare il teatro a poco a poco come è accaduto ai 3 mila circa che affollavano il 24 il Teatro Antico. All’1.30 orario di fine della serata, erano forse più di 500 a battere stremati, come gli stessi interpreti, le mani.

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