Numeri incerti per fiducia al Senato ma martedì non è ora X di Conte

Numeri incerti per fiducia al Senato ma martedì non è ora X di Conte
Giuseppe Conte
16 gennaio 2021

Il giorno del redde rationem, martedì, quando il presidente del Consiglio Giuseppe Conte renderà le sue comunicazioni al Senato sulla crisi politica in atto, “non si conclude un bel nulla: è solo un punto di partenza, un processo che comincia”, racconta una fonte autorevole di centrosinistra. Con l’annuncio di Matteo Renzi dell’intenzione di condurre i suoi all’astensione, la soglia necessaria alla maggioranza per confermare la fiducia al capo del Governo si abbassa drasticamente: con 150 senatori, anche qualcuno in meno, visto che a palazzo Madama nessuno si attende un “pienone” del centrodestra in aula, Conte resterebbe in sella. E’ il costituzionalista Pd Stefano Ceccanti a ricordarlo: “Per ottenere la fiducia è necessario solo che i sì battano i no”. Anche se fino a quando non ci sarà chiarezza sui numeri, dicono fonti parlamentari M5S, non può essere dato per scontato che il premier si presenti anche al Senato. L’opzione dimissioni al Quirinale dopo le comunicazioni alla Camera “è uno scenario non escluso”.

Per ora la componente Maie (Movimento associativo italiani estero, che fa capo al sottosegretario Ricardo Merlo) del gruppo misto annuncia il cambio di nome in Maie-Italia23, allusione alla scadenza di fine legislatura e pegno simbolico della Lista Conte che potrebbe garantire a molti la rielezione. I numeri sono bassi, per ora fermi a quattro, ma a palazzo Madama si dà per certo che cresceranno con l’apporto di qualche ex M5S, di almeno un paio di renziani “pentiti” e di transfughi da Forza Italia. Gregorio De Falco, reduce del M5S ora nel misto, si dice sicuro che siano oltre la dozzina (“un po’ di più”) i “responsabili” o “costruttori”. Ma il gruppo vero e proprio potrebbe nascere solo dopo la fiducia: quel giorno tutti conteranno tutti. La maggioranza mostrerà i suoi numeri, i responsabili decideranno se salire a bordo, i renziani valuteranno – senza per ora spaccarsi – se è meglio restare fedeli al loro condottiero o “tornare nel centrosinistra”, come dicono nel Pd. “Non è detto – spiegano le fonti parlamentari dem – che a martedì i movimenti siano terminati, Renzi ha reagito intelligentemente con l’astensione, vantaggio per lui ma anche per noi, un vantaggio di tempo”.

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Il Pd non è a suo agio, dopo lo strappo di Renzi, a dover difendere Conte e mettere tra parentesi il rimpasto. “Non è il momento di parlare di questo”, dice non a caso il vicesegretario Andrea Orlando, che bolla come “velleitario” un possibile nuovo abbraccio con Renzi nell’immediato e lo accusa di “non aver detto tutto” sulle vere ragioni dello strappo. Ammette che “si può evitare una crisi con un numero in più, non si può pensare di governare con un senatore in più. Ma si può lavorare per rafforzarsi”, aggiunge, disegnando quel percorso che martedì è destinato solo ad avviarsi. Mentre Clemente Mastella, “costruttore” dall’esterno dei nuovi equilibri di maggioranza, avverte: non pensate di usare i responsabili solo come strumento per trattare con Renzi. “Attenti cari Conte e Zingaretti, lunedì potreste avere sorprese. Noi siamo responsabili ma non fessi”. E se l’operazione si inceppasse? A palazzo Madama c’è chi sostiene che una carta di riserva c’è: si chiama Gianni Letta, storico braccio destro di Silvio Berlusconi, pronto a impegnarsi per fornire adeguate stampelle azzurre ancora non convinte alla maggioranza.

Ipotesi “ardita” per una voce Pd scettica, “rischiosa” per una fonte di primo piano del M5S: “Sappiamo che si sta muovendo, se non riusciamo da soli lui interviene, e non per aiutare noi, ma per fare interessi suoi”. Mentre nei palazzi si tesse, il Quirinale osserva. Al Colle non sono sfuggite le obiezioni di chi definisce “una maggioranza raccogliticcia” quella che si dovrebbe manifestarsi martedì, ma finché Conte ha una maggioranza il presidente non può certo ostacolarlo. Per Sergio Mattarella era necessario che ci fosse un gruppo parlamentare a sostegno del governo piuttosto che singoli voti sparsi una volta venuti meno i voti di Renzi, e quel gruppo ora c’è, Maie-Italia23, anche se non così numeroso come era auspicabile. Dunque la Costituzione non consente al capo dello Stato di intervenire tanto meno per esprimere giudizi politici e nemmeno prevede che ci sia una maggioranza qualificata per dare la fiducia al governo.

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Al Quirinale ricordano che questo non è un governo che sta nascendo, come quello che rivendicava Salvini all’inizio della legislatura e che sarebbe stato “di minoranza” per sua stessa ammissione, è un governo in carica e finché non viene sfiduciato il capo dello Stato non può intervenire, nè dare patenti o fissare paletti. I governi si fanno in Parlamento e ora tutto è nella responsabilità di Conte e della sua maggioranza. Insomma per ora Mattarella non può che attendere gli eventi, entrerà in campo nel momento in cui ci saranno dimissioni (di Conte) o una sfiducia. Allora e solo allora spetterà all’inquilino del Colle aprire le consultazioni e verificare se esistono ancora margini per proseguire la legislatura, con un Conte ter o con un altro premier, un tecnico o una figura istituzionale, o se invece l’unica via possibile sono davvero le elezioni anticipate.

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