Papa a Sarajevo ascolta tre drammatiche testimonianze guerra (VIDEO)

Papa a Sarajevo ascolta tre drammatiche testimonianze guerra (VIDEO)
6 giugno 2015

papaUna suora di Travnik rapita, vessata e picchiata da miliziani islamici mediorientali che presero parte alla guerra dei Balcani. Un sacerdote sequestrato a Knin, in Croazia, dai soldati che combattevano quella guerra, e torturato fino allo svenimento. Un frate francescano della Posavina deportato dai poliziotti serbi in un campo di concentramento, picchiato e minacciato di essere scorticato vivo, poi aiutato da una donna musulmana prima di essere liberato dopo quattro mesi interminabili. Sono le drammatiche testimonianze pronunciate davanti al Papa, nell’incontro che Francesco ha avuto con sacerdoti, religiosi e seminaristi nella cattedrale di Sarajevo, dai tre testimoni viventi della guerra di Bosnia Erzegovina (1992-1995). La suora, Ljubica Sekerija, il prete, Zvonimir Matijevic, e il frate, Jozo Puskaric, hanno pronunciato il loro discorso in croato davanti al Papa venuto nella capitale di Bosnia Erzegovina, come ha detto lui stesso, come “pellegrino di pace e di dialogo” in una regione ancora segnata dal ricordo delle violenze. Francesco ha seguito i discorsi leggendo una traduzione in italiano dei tre discorsi, levando di tanto in tanto lo sguardo dai fogli per guardare i tre testimoni. Alla fine il Papa si è inchinato davanti al sacerdote, baciandogli le mani e facendosi benedire da lui, ed ha abbracciato il frate e la suora, scambiando alcune parole con tutti e tre i testimoni. “Mi chiamo Zvonimir Matijevic. Sono un sacerdote della diocesi di Banja Luka”, è la seconda testimonianza ascoltata dal Papa. Nel 1992 il sacerdote è parroco di una piccola comunità cattolica di una cinquantina di fedeli tra una popolazione a maggioranza ortodossa. “La guerra era gia esplosa nella Repubblica di Croazia, una guerra che si avvertiva anche in Bosnia ed Erzegovina”.

Iniziano gli omicidi, il parroco rimane. “La Domenica delle Palme, il 12 aprile 1992, dopo la messa, i soldati mi hanno catturato e portato nella citta di Knin, nella vicina Croazia. Piu volte mi hanno percosso fino al punto di farmi perdere conoscenza a causa del dolore. Hanno cercato di farmi dire, pubblicamente in televisione, che sono un criminale di guerra, che i sacerdoti cattolici sono criminali e che essi educano criminali. Quando hanno capito che sarei stato pronto a morire piuttosto che pronunziare queste menzogne, mi hanno portato davanti al comandante militare. Ho camminato con molta fatica. Le manette erano cosi strette ai polsi che ancora oggi ne porto i segni. Al comandante era chiaro che non avrei resistito a lungo. Quindi hanno deciso di portarmi all’ospedale in fin di vita. Il medico ha dovuto, con un intervento chirurgico, estrarre numerosi grumi di sangue, per farmi sopravvivere. Il mio organismo continuava a rifiutare il cibo. Tanto volte ho perso conoscenza”. Su richiesta del mio vescovo Franjo, “impossibilitato a venire da me, mi visito in ospedale l’episcopo ortodosso di Bihac-Petrovac, Hrizostomo, che mi ha trasmesso la speranza della vittoria del bene”. A causa di quello che ha vissuto, “ora sono affetto da sclerosi multipla che e una croce per tutta la vita”, ma “io, don Zvonimir, perdono di cuore tutti coloro che mi hanno fatto del male e prego per loro affinche Dio misericordioso li perdoni ed essi si convertano verso un cammino di bene”. Il secondo a prendere la parola davanti al Papa è stato il frate francescano Jozo Puskaric. “La guerra mi ha colto mentre ero parroco nella parrocchia di Hrvatska Ticina, a Bosanski Samac, in Posavina. Il 14 maggio 1992 poliziotti serbi armati sono arrivati nella casa parrocchiale e mi hanno portato al campo di concentramento, insieme a molti miei parrocchiani, pur non avendo fatto nulla di male. La parrocchia e rimasta senza popolazione e la maggior parte delle case e stata distrutta. A quaranta anni, ho trascorso quattro mesi nel campo di concentramento. Il tempo trascorso nel campo di concentramento non si conta per mesi, ma secondo i giorni, le ore, i secondi. I giorni erano molto lunghi perche erano pieni di incertezza e di paura. 120 giorni sono stati come 120 anni o piu. Abbiamo vissuto in condizioni disumane! Per tutto il tempo abbiamo patito la fame e la sete; in tutti quei giorni e quelle notti abbiamo vissuto senza le minime condizioni igieniche, senza poterci lavare, rasare, tagliare i capelli; ogni giorno venivamo maltrattati fisicamente, picchiati, torturati con diversi oggetti, con le mani e con i piedi…”: “Colpendomi, mi hanno rotto, tra l’altro, tre costole”.

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“Sono sicuro che nessun uomo sarebbe in grado di sopportare tutto questo da solo, senza l’aiuto di Dio e di altre persone! Personalmente, Dio mi ha mandato il suo aiuto, anche sotto forma di cibo, tramite una donna musulmana, Fatima, e la sua famiglia che ora vivono in America. Solo la speranza e la fede in Dio potevano darci una nuova forza per un nuovo giorno e una nuova speranza. La preghiera continua, piena di speranza – pronunciata nel cuore – ha fatto meraviglie”. Il frate ha continuato: “Confesso davanti a Lei che una volta ho desiderato morire per porre fine alla mia agonia. Mi hanno minacciato di scorticarmi vivo, di strapparmi le unghie e di mettere il sale sulle mie ferite. Una volta e mi era talmente difficile resistere che ho pregato la guardia di uccidermi perche ero convinto che mi avrebbero ucciso comunque. La guardia mi rispose: ‘Non morirai cosi facilmente! Per te, riceveremo in cambio 150 dei nostri’. Le sue parole mi fecero ritornare la speranza. Da allora la mia speranza di restare in vita non e cessata. Il desiderio di vivere si e fondato sempre di piu sul fatto che domani e fino alla fine della mia vita, posso testimoniare degli orrori della guerra”. Dopo la difficile esperienza di guerra, ha concluso, “insieme a San Giovanni Paolo II, anchfio posso gridare: Mai piu la guerra! Santo Padre! Pregate per tutti noi, per tutti gli uomini della nostra patria, la Bosnia ed Erzegovina, qui nella capitale Sarajevo e quando tornerete felicemente a Roma!”. “Prima della guerra, per più di cinquanta anni le suore della mia congregazione si sono prese cura delle persone anziane e disabili nel territorio di Travnik, in Bosnia centrale, arcidiocesi di Vrbosnia”, ha raccontato la suora, Ljubica Sekerija, la terza a prendere la parola. “Ho lavorato per cinque anni nel sanatorio civile che ospitava pazienti di diverse nazioni e confessioni, soprattutto musulmani. Quando è scoppiata la guerra in Bosnia ed Erzegovina – ha raccontato – sono comparsi miliziani stranieri provenienti da alcuni paesi arabi del Medio Oriente. Nel giorno della festa di Santa Teresa d’Avila, il 15 ottobre 1993, verso le undici del mattino, cinque miliziani stranieri, tutti armati, hanno fatto irruzione nella casa parrocchiale dove stavo preparando il pranzo per i sacerdoti don Vinko Vidakovi e don Pavo Nikoli. I miliziani mi hanno costretto ad andare con loro”.

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Il racconto di suor Sekerija è stato dettagliato e drammatico: con il parroco e tre laici che lavoravano nella Caritas viene portata al quartier generale di questi miliziani. “Nella mia tasca hanno trovato il rosario. I miliziani hanno costretto il parroco don Vinko a calpestare il mio rosario con le sue scarpe. Lui ha rifiutato di farlo. Uno dei miliziani, sguainando la sua spada, ha minacciato il parroco di massacrarmi se non avesse calpestato e profanato il rosario. Allora ho detto al parroco: ‘Don Vinko, lasciate pure che mi uccidano, ma, per lfamore di Dio, non calpestate il nostro oggetto sacro!’ Alla fine, uno di loro ha preso il rosario e lo ha gettato a terra, sul pavimento, uscendo dalla stanza e lasciandoci soli. Subito ho raccolto i pezzi del rosario e con le unghie ho strappato il materasso nascondendovi dentro i grani del rosario”. I “miliziani ci provocavano costantemente e ci umiliavano rivolgendoci parole oscene e volgari, poi ci hanno picchiato con calci e percosse”. Il parroco don Vinko “ci ha detto sottovoce: ‘Non temete, vi ho dato l’assoluzione a tutti. Ora siamo pronti a morire in pace!'”. Quella notte “ci hanno picchiato tutti”. A un certo punto “mi sono seduta con le braccia incrociate, ma uno dei miliziani mi ha subito ordinato di stendere le mani, dicendo che solo Satana tiene le braccia incrociate. In quel momento ho sentito la canna del fucile sulla mia fronte e una voce che mi ordinava di confessare l’Islam come unica e vera religione. Ho pensato che fosse arrivato il momento della mia morte”. Uno dei soldati stranieri, più tardi, dice alla suora: “Ecco, vedi, i soldati stranieri non stuprano e non uccidono… pero meglio se stai zitta e non parli di questo a nessuno, altrimenti la tua testa finisce all’inferno”, e lei risponde: “Sono stata catturata da un miliziano straniero, ora sono liberata da un miliziano straniero”. La donna viene liberata, il parroco rimane nel carcere tre giorni, e quando torna in convento trova le consorelle che pregano per la sua liberazione. “Questa e la mia testimonianza, ma ci sono anche altre suore, religiosi e sacerdoti che durante l’ultima guerra in Bosnia ed Erzegovina hanno sperimentato sofferenze simili”, ha concluso la suora. “Per quanto i nemici siano stati insensibili e malvagi, ha sovrabbondato la grazia di Dio su di noi”.

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