Il Papa ridisegna l’episcopato italiano nel segno del dialogo

Il Papa ridisegna l’episcopato italiano nel segno del dialogo
26 maggio 2017

Tutti ricordano l’inno “Fratelli d’Italia” spontaneamente scoppiato in piazza San Pietro quando, ancor prima di aver capito chi era, il 13 marzo del 2013 i fedeli sentirono che il nuovo Papa aveva preso il nome di Francesco, il santo patrono d’Italia. E molti ricordano la gaffe della Conferenza episcopale italiana che, a caldo, diramò un comunicato di felicitazioni, subito corretto, per l’elezione di Angelo Scola, arcivescovo di Milano, il Pontefice che evidentemente molti vescovi italiani speravano. Il rapporto tra i vertici della Chiesa italiana e il Pontefice venuto “quasi dalla fine del mondo”, in questi quattro anni, non sono stati facili. Jorge Mario Bergoglio ha adottato sin da subito uno stile, ha promosso delle idee, ha declinato il cattolicesimo con una curvatura che diversi vescovi hanno fatto fatica a seguire. Dopo quattro anni, però, la riforma bergogliana è maturata anche in seno all’episcopato italiano. Una maturazione che le nomine di questi giorni – presidenza Cei, Roma, Milano – rendono strutturale. Nel corso dei quattro anni non poche cose sono cambiate. Già l’estate dell’anno scorso l’agenzia stampa della Cei notava che Francesco aveva nominato 85 vescovi, ossia più di un terzo delle 226 diocesi italiane. Il numero nel frattempo è ulteriormente lievitato. Più lenta di altre riforme del Papa argentino, ma non meno efficace. Tra i nuovi vescovi, alcuni volti più noti, come il segretario della Cei Nunzio Galantino, i vescovi di Palermo (Lorefice), Bologna (Zuppi) o Ferrara (Perego), altri meno noti. Ma non per questo caratterizzati da uno stile pastorale nuovo. Non è mancato qualche inciampo, qualche nomina forse affrettata, soprattutto all’inizio. Ma in generale i vescovi scelti da Francesco sono pastori, non di rado semplici preti promossi alla sede episcopale, frequentemente con una esperienza a capo dei seminari. Personalità differenti, per orientamento politico, background personale, formazione teologica. Ma quasi sempre uomini di Chiesa aituati al dialogo con la società. E’ il superamento di una certa idea di Chiesa formatasi in Italia all’epoca di Giovanni Paolo II e promossa dal cardinale Camillo Ruini, a lungo guida dell’episcopato italiano.

Con il tramonto della Democrazia cristiana e il mutamento profondo della società, il porporato di Sassuolo ha definito un ruolo forte della Chiesa nell’agone politico, una rivendicazione identitaria del cattolicesimo italiano, e l’identificazione della fede con alcuni “valori non negoziabili”, spesso intrecciati con le tematiche legislative attinenti la sessualità, dalla procreazione medicalmente assistita (referendum del 2005) al Family day (2007) al testamento biologico (una vicenda legislativa legata ai nomi di Piergiorgio Welby e Eluana Englaro). La visione di Ruini è stata caratterizzata da acume politico ed efficacia strategica. E i suoi avversari non sempre sono stati all’altezza di costruire un’alternativa valida. Ma il “ruinismo” non ha arrestato un certo declino della presa della Chiesa sulla società italiana, con parrocchie spesso svuotate e movimenti cattolici affermarsi ma non sempre integrarsi nelle Chiese locali. Ed è stata archiviata, di fatto, con l’elezione di Jorge Mario Bergoglio. Che, ora, sta imprimendo un’accelerazione alla Chiesa italiana. Con il cardinale Angelo Bagnasco che ha compiuto due mandati alla testa della Cei, il vicario di Roma, cardinale Agostino Vallini, in pensione a 77 anni, quello di Milano, cardinale Angelo Scola, che si appresta anch’egli al ritiro per età, e, negli anni prossimi, sarà seguito anche i vescovi di altre sedi episcopali autorevoli come Genova, Torino… Francesco ha avuto la possibilità di scegliere vescovi che corrispondono alla sua idea di una testimonianza conciliare, immersa nella storia e vicina al “popolo di Dio”, aliena dal linguaggio bellicoso e dalle “culture war” bioetiche, evangelicamente impagnata a favore degli ultimi della società, i poveri, i migranti. Il cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia, nominato ieri alla testa della Cei, e mons. Angelo De Donatis, sino a due anni fa semplice prete, nominato oggi alla guida del Vicariato di Roma, ne sono testimonianza aperta. Valori non negoziabili? “I valori sono tutti irrinunciabili”, ha detto ieri Bassetti. “Se dovessi dirne uno, è il bene”.

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