Riforma della scuola, primi voti alla Camera. Ma la battaglia sarà in Senato

Riforma della scuola, primi voti alla Camera. Ma la battaglia sarà in Senato
14 maggio 2015

di Veronica Passeri

Dialogo ma rapidità. Sta tutta in questi due termini, totalmente inconciliabili per le opposizioni, perfettamente “coniugabili” per il governo, la partita alla Camera sulla riforma della scuola. La seduta odierna ha esaurito la discussione generale e domani, per tutto il giorno, i lavori proseguiranno (per poi riprendere lunedì) con l’esame degli emendamenti. Ma l’aula semideserta pare suggerire che la sfida sulla riforma è già fuori dal Palazzo. Almeno da Montecitorio. Un po’ perchè alla Camera il governo ha i numeri per fare passare il provvedimento senza rischi e senza il ricorso alla fiducia mantenendo così l’atteggiamento dialogante, un po’ perché è la piazza, dove l’asse tra sindacati, docenti, famiglie e studenti si è riproposto e rinsaldato – cosa che non si vedeva da molti anni -, ad aver spinto verso un atteggiamento diverso. Dopo la manifestazione del 5 maggio e gli incontri con i rappresentanti del mondo della scuola il pacchetto emendativo del Pd ha rivisto alcuni dei punti al centro delle critiche come i poteri del preside (“due su tre sono cambiati” ha ricordato il premier) bilanciandoli con l’affidamento della decisione definitiva, sia sul Piano dell’offerta formativa che sui fondi per i premi ai docenti, rispettivamente al Consiglio di istituto e al comitato di valutazione. Un po’, infine, perchè il passaggio più difficile è senza dubbio quello al Senato dove la minoranza dem si farà sentire e il dissidente Corradino Mineo ha già annunciato di voler fare “una battaglia per riscrivere la riforma”.

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E per la quale il renziano Andrea Marcucci ha già messo le mani avanti: “Chi prevede difficoltà, resterà deluso. Sarebbe da irresponsabili creare problemi ad un testo che assicura investimenti importanti e l’assunzione di 100 mila docenti”. I tempi, comunque, per la lettura al Senato sono ancora più stretti di quelli alla Camera dove il ddl dovrebbe essere licenziato il 20 maggio. La riforma dovrà essere legge entro la metà di giugno se si vorrà il piano assunzioni a regime per il prossimo anno scolastico. Considerando che l’ultima settimana di maggio il Parlamento non lavorerà per la pausa elettorale “riscrivere” la riforma in poco più di due settimane appare quantomeno arduo. Quello che accade in piazza, comunque, viene osservato con attenzione dal governo. Nell’incontro dei giorni scorsi a Palazzo Chigi i toni degli stessi sindacati confederali sono apparsi diversi. Più dura la Cgil, più attendista (“nessuna soluzione in tasca, ma stiamo a vedere come l’ascolto di oggi si tradurrà” ha osservato la segretaria Anna Maria Furlan) la Cisl. Domani i sindacati di categoria del Lazio hanno chiamato in piazza del Pantheon alle 16,30 deputati e senatori, mentre il Movimento cinque stelle si è già mobilitato a fianco del mondo sindacale per una manifestazione davanti a Montecitorio alla vigilia del voto finale al provvedimento, il 19 maggio.

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Il testo cambierà anche in aula. In giornata il Pd ha fatto il punto sugli emendamenti in alcune riunioni. Una decina quelli della minoranza dem concentrati su tre temi “difficili” del provvedimento: i precari, con la proposta di un piano pluriennale di assunzioni; i poteri del preside considerati ancora eccessivi e da ridurre; il sistema di finanziamenti privati e di perequazione delle risorse tra le scuole. Una battaglia “nel merito” ma destinata a non incidere. Insomma, come ha detto in aula la relatrice del provvedimento Maria Coscia, il testo può essere “migliorato” come avvenuto in commissione ma “senza mettere in discussione l’impianto del ddl”. Impossibile, dunque, che il governo possa trovarsi in difficoltà se non ci sarà un emendamento di rottura tale con la riforma su cui possano confluire i voti delle opposizioni, Movimento cinque stelle e Sel in testa che anche oggi hanno lamentato il carattere “autoritario e regressivo della legge”. Intanto il ministro della Pubblica istruzione Stefania Giannini ha ribadito in aula la linea: “Un governo responsabile deve farsi carico dei problemi, la rapidità si coniuga con un dialogo costante, anche nel passaggio al Senato, con le parti. Il risultato sarà frutto del lavoro di tutti”. I precari? “Noi – ha concluso la Giannini – non siamo paladini dei precari ma poniamo termine al precariato”.

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