Silvia Romano: ho sognato il nome Aisha, col velo mi sento libera

6 luglio 2020

“Ero disperata perché, nonostante alcune distrazioni come studiare l’arabo, vivevo nella paura dell’incertezza del mio destino. Ma più il tempo passava e più sentivo nel cuore che solo Lui poteva aiutarmi e mi stava mostrando come”. Silvia Romano, la cooperante milanese rapita in Kenya nel novembre 2018 e rimasta prigioniera dei terroristi in Somalia per un anno e mezzo, parla per la prima volta a quasi due mesi dal rilascio, in una intervista con il direttore del giornale on line “La Luce”, Davide Piccardo, esponente di spicco della comunità islamica lombarda, a cui Silvia si è avvicinata dal giorno del suo ritorno a Milano.

“Prima di essere rapita ero completamente indifferente a Dio, anzi potevo definirmi una persona non credente – racconta -. Dopo aver letto il Corano non ci trovai contraddizioni e fin da subito sentii che era un libro che guidava al bene. A un certo punto ho iniziato a pensare che Dio, attraverso questa esperienza, mi stesse mostrando una guida di vita, che ero libera di accettare o meno”. “Per me il mio velo è un simbolo di libertà – prosegue Silvia Romano – perché sento dentro che Dio mi chiede di indossare il velo per elevare la mia dignità e il mio onore, perché coprendo il mio corpo so che una persona potrà vedere la mia anima. Quando vado in giro sento gli occhi della gente addosso; non so se mi riconoscono o se mi guardano semplicemente per il velo; in metro o in autobus credo colpisca il fatto che sono italiana e vestita così. Ma non mi dà particolarmente fastidio. Sento la mia anima libera e protetta da Dio”. Sulla scelta del nome, la cooperante spiega: “Ho sognato di trovarmi in Italia, passavo ai tornelli della metropolitana e sulla mia tessera dell’Atm c’era scritto Aisha e poi è un nome che significa ‘viva’”.

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