Tempi stretti per la Brexit. Ma Johnson punta a un’uscita dall’Ue senza accordo

Tempi stretti per la Brexit. Ma Johnson punta a un’uscita dall’Ue senza accordo
Boris Johnson
19 settembre 2020

Mancano ormai pochi giorni al momento della verità sul negoziato della Brexit: entro la fine di settembre si capirà se c’è davvero la volontà da parte britannica di arrivare a un accordo con l’Ue sulle relazioni future prima che scada, il prossimo 31 dicembre, il “periodo transitorio” (in cui il Regno Unito è ancora parte del mercato unico europeo). Oppure se il premier Boris Johnson ha deciso (come sembra) di correre il rischio di una “hard Brexit”: un’uscita senza accordo, con tutto quello che comporterà in termini di costi economici per entrambe le parti (in particolare per l’imposizione di dazi e quote sulle importazioni da una parte all’altra della Manica), per poi riprendere a trattare con l’Ue da posizioni presumibilmente più forti, pienamente da paese terzo.

I tempi sono davvero stretti: dal 28 settembre al 2 ottobre si terrà a Bruxelles il nono round di trattative fra i team negoziali di Michel Barnier, per l’Ue, e di David Frost, per il Regno Unito. Doveva essere il round decisivo, visto la conclusione dei negoziati fissata entro ottobre, per avere il tempo di completare entro fine anno le ratifiche dell’eventuale nuovo accordo da parte del Parlamento britannico, del Consiglio Ue e del Parlamento europeo. Ed era previsto, o almeno si sperava, che i capi di Stato e di governo potessero dare un primo “endorsement” politico alle conclusioni del negoziato già al Consiglio europeo del 15 ottobre. Invece è tutto ancora in alto mare; anzi, il 9 settembre c’è stata una clamorosa marcia indietro britannica, che ha reso il negoziato ancora più difficile. Il governo di Londra ha presentato infatti una “Legge sul Mercato interno” che prevede la possibilità, per i suoi ministri, di ignorare o disapplicare alcune norme previste dal Protocollo sull’Irlanda dell’Accordo di recesso, negoziato e firmato da Johnson e già ratificato l’anno scorso dal Parlamento britannico, oltre che dall’Ue.

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Lo stesso governo di Londra ha ammesso che quelle disposizioni, contrarie all’Accordo di recesso, violano il diritto internazionale. Ma le ha giustificate considerandole necessarie a mantenere l’integrità, territoriale e del mercato interno, del Regno Unito, e ricordando che si applicherebbero solo se non si raggiungerà un accordo con l’Ue sulle relazioni future. Il Protocollo sull’Irlanda dell’Accordo di recesso, tuttavia, è concepito proprio per essere applicato in caso di mancato accordo sulle relazioni future. L’Ue ha reagito scandalizzata, mettendo in dubbio la buona fede di Johnson e lanciando addirittura un ultimatum a Londra: se entro la fine di settembre non ritirerà o modificherà la sua Legge sul Mercato interno, partiranno i ricorsi legali per violazione del diritto internazionale. Un duro avvertimento è arrivato anche dal Parlamento europeo: l’11 settembre, i leader dei principali gruppi politici hanno affermato che porranno il veto a qualunque futuro accordo commerciale con il Regno Unito se Londra violerà, o minaccerà di violare l’Accordo di recesso.

Nel frattempo, la Legge sul Mercato interno ha passato indenne (340 voti a favore, 263 contrari) l’approvazione in seconda lettura da parte della Camera dei Comuni, nonostante la ribellione dei Conservatori moderati, che però ora potrebbero ottenere un compromesso: secondo un emendamento che sarà votato la settimana prossima (presentato dall’ex ministro Bob Neill), qualunque decisione ministeriale in contrasto con il Protocollo sull’Irlanda dell’Accordo di recesso dovrebbe essere sottoposta all’approvazione del Parlamento. Non cambierebbe la sostanza (la possibilità, che si arroga il Regno Unito, di modificare unilateralmente un accordo di diritto internazionale che ha sottoscritto resta una violazione anche se l’approva la Camera dei Comuni), ma un’approvazione parlamentare sarebbe certamente più difficile e meno arbitraria di una mera decisione ministeriale. Ed è possibile che l’Ue, se passerà l’emendamento, ammorbidisca le sue posizioni. askanews

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