Terremoto Pd, ecco perché Zingaretti s’è dimesso

5 marzo 2021

Nicola Zingaretti spariglia, di fronte alla guerriglia ormai quotidiana delle minoranze il segretario Pd sceglie la mossa a sorpresa delle dimissioni, lo fa usando toni duri nei confronti del suo stesso partito. Uno scarto che – assicurano in molti – il leader non aveva anticipato praticamente a nessuno, se non alla sua cerchia strettissima, nemmeno il vicesegretario Andrea Orlando – riferiscono – sarebbe stato a conoscenza della decisione annunciata via Facebook a metà pomeriggio. Massima, a questo punto, l’incertezza sul prosieguo.

Dunque, la notizie delle dimissioni di Zingaretti ha spiazzato tutti, compresi i suoi fedelissimi all’interno del Partito Democratico. La decisione di rimettere il mandato di segretario del partito di centrosinistra ha scatenato già numerose reazioni, ma la vicenda sembra non essere assolutamente finita qui. Il 13 e il 14 marzo è già stata convocata l’assemblea nazionale e in quell’occasione potrebbero essere respinte le dimissioni dell’attuale presidente della Regione Lazio. Subito è partito il coro di dichiarazioni di solidarietà e di appelli a restare e sono in molti a scommettere su questo esito all’assemblea del 13-14 marzo. Ma i parlamentari più vicini a Zingaretti garantiscono che il segretario “non sta giocando” e che “le dimissioni resteranno sul tavolo” in ogni caso.

Il leader Pd parla di “stillicidio” e va giù duro: “Mi vergogno che nel Pd da 20 giorni si parli solo di poltrone e primarie”. E ancora: “Ho chiesto franchezza, collaborazione e solidarietà per fare subito un congresso politico sull’Italia. Non è bastato”. Ma “la guerriglia quotidiana ucciderebbe il Pd” e allora “visto che il bersaglio sono io, per amore dell’Italia e del partito non mi resta che fare l’ennesimo atto per sbloccare la situazione”. Dimissioni dunque, e “ora tutti dovranno assumersi le proprie responsabilità”. Il primo a chiedere di restare è Matteo Ricci, il coordinatore dei sindaci Pd, ma poi è praticamente un coro unanime, anche se Base riformista aspetta la fine della giornata per unirsi all’appello a restare. A chiedere di rimanere sono un po’ tutti: Andrea Orlando, Roberto Gualtieri, Luigi Zanda, il capo delegazione Pd al parlamento Ue Brando Benifei, Cesare Damiano, Dario Franceschini, Gianni Cuperlo. Quindi, nel tardo pomeriggio, anche Graziano Delrio e poi Lorenzo Guerini e Andrea Marcucci. Solo Matteo Orfini rimane in silenzio.

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I giochi si faranno all’assemblea e, appunto, la convinzione diffusa è che Zingaretti abbia voluto giocare una mossa per mettere all’angolo la minoranza e costringerla a confermarlo segretario, stroncando così quel “logoramento” che i suoi denunciano. Spiega ancora il parlamentare zingarettiano: “Lui aveva aperto alla discussione congressuale, ma loro hanno rilanciato dicendo `si fa dopo le amministrative’. Ma questo significa che l’obiettivo è un logoramento inaccettabile”. Dunque, “l’assemblea è sovrana, deciderà se eleggere un reggente che porti al congresso appena la situazione sanitaria lo permetterà o se eleggere un vero e proprio nuovo segretario fino al 2023”. Il fronte di maggioranza proverà appunto a confermare Zingaretti, ma a questo punto bisognerà attendere per capire davvero se il leader sarà disponibile. Come bisognerà vedere come si muoverà Stefano Bonaccini, che è spinto dalla corrente degli ex renziani come futuro segretario.

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