Buona la prima di Michel e von der Leyen. Conte smentisce Centeno

Buona la prima di Michel e von der Leyen. Conte smentisce Centeno
Ursula von der Leyen e Charles Michel
13 dicembre 2019

Quello che si è tenuto ieri e oggi a Bruxelles è stato un vertice dei capi di Stato e di governo piuttosto insolito, interlocutorio e senza grandi decisioni, ma per certi aspetti memorabile. Innanzitutto perché era il primo per il nuovo presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, e per la presidente della nuova Commissione europea Ursula von der Leyen, da quando è entrata in carica, il primo dicembre scorso. I due sono sembrati abbastanza a loro agio, con una buona collaborazione, rispetto reciproco e complementarietà, quando sono apparsi davanti ai giornalisti nelle conferenze stampa finali dei due giorni del vertice. Ma le novità sono state evidenti da subito soprattutto nello “stile” di Michel: un esperto negoziatore (è l’ex primo ministro del Paese democratico istituzionalmente e politicamente più complicato al mondo: il Belgio) che dà molta importanza al metodo e alla preparazione delle trattative fin nei minimi dettagli tecnici. Prima di questo vertice, ha incontrato discretamente più di 20 leader dell’Ue, con i quali ha passato ore, proprio per capire fino in fondo le ragioni delle loro posizioni, in particolare sui due soggetti più importanti in agenda: l’accordo sull’obiettivo della “neutralità climatica” dell’Ue nel 2050, con tre Paesi ancora da convincere, e le discussioni sostanzialmente in stallo sul quadro di bilancio pluriennale dell’Ue per il periodo 2021-2027.

Alla fine, il presidente del Consiglio europeo si è inventato per l’obiettivo 2050 un accordo che invece di essere “unanime” è “condiviso” con un Paese (la Polonia) che non si oppone ma, comprensibilmente, ha bisogno di più tempo per sottoscriverlo. Per il bilancio pluriennale, invece, i capi di Stato e di governo dei Ventisette hanno semplicemente deciso di affidare a Michel la guida del negoziato, che finora era rimasto nelle mani alle presidenze semestrali di turno del Consiglio Ue, senza grandi risultati (anzi, con il risultato di aumentare le divergenze fra gli Stati membri). Ora il neo presidente del Consiglio europeo avrà l’occasione di dimostrare che il suo nuovo metodo funziona, e ha già annunciato nuovi incontri bilaterali, tecnici e politici, con ciascun governo, e con la collaborazione della Commissione di von der Leyen, fino a che non si troverà una “landing zone”, un punto di caduta verso l’accordo finale. Con il premier italiano Giuseppe Conte, c’era un altro problema: quello della riforma del Mes, il trattato del Fondo Salva-Stati, diventato nelle ultime settimane, nonostante la sua “tecnicità”, oggetto di una forte controversia di politica interna nella Penisola.

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La settimana scorsa, nell’Eurogruppo, le richieste italiane (di frenare sulla riforma, di rivedere o precisare meglio alcuni dettagli tecnici, e di aspettare le valutazioni del Parlamento di Roma), benché accettate, erano sostanzialmente state derubricate a questioni di lana caprina rispetto al proclamato “accordo politico”. Ancora oggi, arrivando alla riunione del Consiglio europeo (nella versione Eurosummit allargato a tutti i Ventisette), il presidente dell’Eurogruppo Mario Centeno aveva assicurato che l’accordo sul Mes sarà finalizzato “il più presto possibile, all’inizio dell’anno prossimo”. Subito dopo, Conte lo ha smentito, affermando: “Aspettiamo a dare una data”. Sulla Brexit, infine, la svolta non è venuta dal vertice Ue, ma dal risultato delle elezioni nel Regno Unito. La riunione dei dei leader “Articolo 50” (come si chiama il formato a Ventisette senza il Regno Unito) ha preso atto della forte maggioranza conquistata dal premier britannico, auspicando che ora il Parlamento di Londra ratifichi velocemente l’Accordo di recesso, bocciato tre volte nella scorsa legislatura. In questo modo, cesserà finalmente l’incertezza e potrà avvenire come previsto, entro il prossimo 31 gennaio, l’uscita “ordinata” del Regno Unito dall’Ue. Subito dopo, potrà cominciare il nuovo negoziato per le relazioni future, che dovrà svolgersi durante il “periodo transitorio” (fino alla fine del 2020), in cui i britannici resteranno ancora nel mercato unico, pur senza partecipare più alle decisioni dell’Ue.

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I Ventisette hanno formalmente rimesso il mandato per condurre i nuovi negoziati alla Commissione, che a sua volta ha già rimesso l’incarico operativo al celebre e apprezzatissimo capo negoziatore per l’Ue, Michel Barnier. Il compito sarà, se possibile, ancora più duro che con l’accordo di recesso: l’Ue mira a ottenere dal Regno Unito una serie di accordi di partenariato, incluso un accordo commerciale che comprenda anche garanzie sul cosiddetto “level playing field” (parità di condizioni). Michel ha sottolineato che i nuovi negoziati seguiranno gli stessi principi che hanno ben funzionato finora sotto la guida di Barnier: grande trasparenza e totale unità dei Ventisette. In sostanza, i Ventisette vogliono che Londra accetti di sottoporre la produzione delle merci che esporterà verso il Continente a normative sociali e ambientali, e a regole sugli aiuti di Stato, equivalenti a quelle europee. Il timore è che il Regno Unito voglia conquistare a spese dell’Ue il posto di primo piano a cui ambisce nel commercio globalizzato mondiale, dopo essersi liberata dei lacci e lacciuoli delle normative comunitarie, per divenire una sorta di “Singapore della Manica”. Un’idea, questa, da sempre presente in certi circoli conservatori britannici, che la forte avanzata del partito di Johnson potrebbe ora rafforzare. askanews

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