Chi guiderà il futuro dei porti siciliani? Sfida a due per l’eredità di Monti

Il porto di Palermo
L’Autorità di sistema portuale del mare di Sicilia occidentale si appresta a vivere un momento di passaggio cruciale, con la fine del lungo e apprezzato mandato di Pasqualino Monti. Dopo oltre otto anni alla guida dell’ente, Monti lascia un’eredità importante fatta di grandi investimenti, opere realizzate e una visione strategica che ha profondamente trasformato il sistema portuale siciliano, con ricadute evidenti su Palermo, Termini Imerese, Trapani, Porto Empedocle, Licata e Gela. La sfida ora è individuare una figura all’altezza di raccogliere questa eredità e proseguire lungo la strada del rilancio infrastrutturale e della competitività internazionale.
La nomina del nuovo presidente avviene attraverso un processo che coinvolge il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, il quale propone un candidato e avvia l’iter di nomina. La proposta viene poi sottoposta al parere della Regione Siciliana che deve esprimere un’intesa sulla scelta. Successivamente, il candidato viene esaminato dalle commissioni parlamentari competenti, che forniscono un parere non vincolante. Infine, dopo aver acquisito tutti i pareri necessari, il ministero firma il decreto di nomina, rendendo ufficiale l’incarico. La scelta, quindi, non è un lancio della monetina. Per non parlare della sostanza, avendo il sistema portuale di Palermo un peso specifico notevole, per la sua estensione territoriale e per il ruolo che svolge nell’economia del Sud Italia e dell’intero bacino del Mediterraneo.
Due tra i maggiori papabili che circolano con insistenza per la successione alla guida dell’ente: Francesco Scoma e Annalisa Tardino, entrambi esponenti della Lega. Scoma, attuale presidente della società AMG Energia Spa e componente del Comitato di gestione dell’Autorità Portuale, viene ritenuto il candidato più accreditato. Il suo profilo professionale coniuga una lunga carriera politica con esperienze di amministrazione pubblica e aziendale.
Già senatore e deputato della Repubblica, con una militanza politica anche in ambito regionale dove ha ricoperto diversi ruoli tra cui quello di assessore e vicepresidente della Regione Siciliana, Scoma ha anche ricoperto la carica di vicesindaco di Palermo. La sua presenza nel Comitato di gestione dell’Autorità Portuale, quindi, testimonia una conoscenza diretta e operativa del funzionamento interno dell’ente che si candida a guidare. Si tratta, in sostanza, di una figura che ha dimostrato di possedere quelle competenze manageriali e quella capacità di visione strategica che la legge 84 del 1994, all’articolo 8, richiede esplicitamente per la nomina del presidente di un’Autorità Portuale.
Diverso il profilo di Annalisa Tardino, avvocata e già eurodeputata. La sua formazione è di tipo accademico e giuridico: laureata in Giurisprudenza all’Università di Palermo, ha conseguito un dottorato di ricerca in diritto sovranazionale e un master in diritto e management dei servizi sanitari presso l’Università Roma Tre. Ha inoltre svolto l’attività forense in ambito civile e ricoperto ruoli nel settore sanitario, come componente del comitato etico dell’Ospedale Civico di Palermo. La sua carriera politica l’ha portata a Bruxelles, dove ha operato nel Parlamento europeo occupandosi di diritti civili, sociali e temi di salute pubblica. Tuttavia, dal suo curriculum non emergono esperienze operative nel campo dei trasporti, della logistica o della gestione portuale, né incarichi manageriali che possano essere considerati direttamente pertinenti con le funzioni richieste dalla legge per la presidenza di un’autorità portuale.
A chiarire ulteriormente cosa significhi possedere “comprovata qualificazione nei settori dell’economia dei trasporti e portuale”, è intervenuto di recente anche il Consiglio di Stato, con una sentenza molto significativa riguardante la nomina del presidente dell’Autorità Portuale di Cagliari. In quel caso, il Consiglio ha confermato la validità della nomina di Massimo Deiana, ritenendo che il suo curriculum, arricchito da esperienze consulenziali specifiche nel settore portuale, fosse sufficiente a integrare i requisiti richiesti. La sentenza ha precisato che non bastano titoli teorici o accademici se non accompagnati da esperienze pratiche e concrete in materia di portualità, navigazione, concessioni demaniali e infrastrutture logistiche. Una linea interpretativa che privilegia il merito, la competenza tecnica e l’effettiva esperienza nel settore, mettendo in secondo piano le appartenenze politiche e i percorsi genericamente istituzionali.
Proprio su questa linea si è espresso anche lo stesso Pasqualino Monti, nel commentare il proprio addio all’Autorità Portuale. Monti ha auspicato una scelta basata sulla continuità e sulle competenze, affinché non si disperda il lavoro fatto e si continui sulla rotta dello sviluppo sostenibile e della valorizzazione del sistema portuale siciliano. La sua gestione ha portato al completamento di opere attese da decenni, come il molo trapezoidale, alla riqualificazione urbana delle aree portuali, al rilancio del traffico crocieristico e merci, alla digitalizzazione dei servizi e al potenziamento della connessione intermodale tra porto, ferrovia e rete stradale. Il prossimo presidente dovrà affrontare sfide complesse: il completamento delle opere in corso, il rafforzamento della posizione del porto di Palermo nel Mediterraneo, l’adeguamento alle normative ambientali europee, l’attrazione di nuovi investimenti pubblici e privati, e la gestione di una macchina amministrativa sempre più sofisticata.
In questo contesto, la scelta del successore non può essere dettata esclusivamente da logiche politiche. Deve rispondere ai criteri tecnici stabiliti dalla legge e ribaditi dalla giurisprudenza. È questo il nodo su cui si gioca la partita tra i due candidati. Per Palermo, per la Sicilia e per il sistema economico del Sud, questa nomina sarà determinante. Il rischio è che una scelta sbagliata possa rallentare o compromettere un percorso virtuoso che ha finalmente rimesso i porti della Sicilia occidentale al centro del dibattito nazionale ed europeo. Per questo motivo, mai come oggi, non serve un nome, ma serve una figura tecnica, capace, autorevole, in grado di coniugare la visione strategica con la gestione quotidiana di una macchina complessa. Serve, in definitiva, competenza. E la competenza, come insegna la legge e come ha ribadito la giustizia amministrativa, si misura nei fatti, non nelle etichette. Staremo a vedere.