Covid-19, Israele riparte: riaprono ristoranti, hotel e scuole

Covid-19, Israele riparte: riaprono ristoranti, hotel e scuole
8 marzo 2021

Israele fa ben sperare. Come stabilito dal governo, gran parte delle attività economiche, inclusi ristoranti, caffè, scuole (in alcune aree a bassa tasso di infezione), eventi culturali, attrazioni turistiche e ristorazione negli hotel, saranno di nuovo in funzione. D’altronde, c’è una campagna dei vaccini che va a gonfie vele, visto che il 53,2% degli israeliani (4,9 milioni di persone) ha già ricevuto almeno una dose del siero anti Covid e il 39% ha già completato l’intero ciclo. Tanto per capirci, nel nostro Paese le due fiale sono state iniettate solo a 1,5 milioni di persone, ovvero il 2,5% degli italiani. Dunque, Israele “riapre” anche se con limiti numerici, parametri legati al contagio ma soprattutto con il Passaporto Verde, il Green Pass. “Continueremo a tornare alla vita se tutti ci vaccineremo e ci atterremo alle regole”. Questo il tweet del ministro della Salute israeliano Yuli Edelstein che posta anche la foto di una colazione al bar, all’aperto, in un giorno simbolico. Ad esempio, i ristoranti potranno ospitare al chiuso fino al 75% della propria capacità di avventori con Green Pass e sino a 100 all’aperto, anche se ovviamente distanziati. Per le sale di eventi, culturali e non, la percentuale è del 50% e fino a 300 persone con Green Pass: in più potranno entrare anche il 5% di individui con tampone negativo recente.

Di nuove aperte – quasi con le stesse modalità – le sale ricevimento degli hotel (e le strutture stesse) per i detentori del Green Pass. Lo stesso per i luoghi di culto con regole precise. Le autorità sanitarie tuttavia non hanno escluso per la festa della Pasqua ebraica (fine marzo) nuove restrizioni. Insomma, Israele tenta di tornare alla normalità, nonostante la pandemia di coronavirus sia ancora in corso (l’indice Rt in Israele è intorno a 1), in tutto il mondo. Non è una normalità al 100%, ma ci si avvicina molto. Il segreto è certamente una vaccinazione di massa, capillare, a tutte le fasce della popolazione. Anche se oramai non è più un segreto. La campagna vaccinale israeliana è diventata un modello in tutto il mondo. Anche l’aeroporto Ben Gurion attuerà una parziale riapertura consentendo dalle prossime ore – senza alcuna autorizzazione necessaria da parte delle autorità – il rientro di 3mila israeliani al giorno e la quarantena per i non immunizzati sarà a casa propria. Il ministro Edelstein ha già iniziato a mandare promemoria sui social ricordando l’importanza di rispettare le distanze fisiche (nella foto spunta il metro col nastro retraibile).

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Il governo e le autorità sanitarie hanno avuto non pochi problemi a contrastare la pandemia nella comunità degli ebrei ultraortodossi, spesso refrattari al vaccino ma anche all’uso della mascherina. La somministrazione del vaccino ha dato finora ottimi risultati: il vaccino Pfizer-BioNTech è efficace al 95,8% nel prevenire casi severi di Covid, ricoveri e la morte. Per questo si respira un cauto ma, contagioso questo sì, ottimismo. Il ministro Edelstein ha scritto pochi giorni fa: “La scienza consente di affrontare rapidamente le crisi. La campagna di vaccinazione continua: il 90% degli ultracinquantenni è stato vaccinato / guarito, circa il 75% dei quali ha diritto alla carta verde. Eppure siamo lontani dalla piena difesa. Chiedo a tutti: seguite le linee guida, terremo insieme gli incredibili risultati della campagna di vaccinazione”. Una curiosità: il ceo di Pfizer Albert Bourla ha annullato la visita prevista a Tel Aviv perché gli manca la seconda dose di vaccino.

“Abbiamo vaccinato tutti gli ultraottantenni, la fascia di età tra i 70 ed i 79 è stata immunizzata per l’85%, siamo oltre l’80% di quelli che hanno più di 50 anni età. E abbiamo visto crollare il numero di ricoveri, soprattutto i decessi si sono ridotti del 99% con la seconda dose di vaccino della Pfizer. Assieme al lockdown, possiamo dire che grazie alla campagna vaccinale l’epidemia in Israele è ora sotto controllo”. Questo il quadro tracciato da Arnon Afek, il direttore generale dello Sheba General Hospital israeliano. “I più anziani – racconta – si sono vaccinati subito, per superare l’esitazione dei più giovani abbiamo lanciato parecchie campagne informative sponsorizzate da produttori di pizza, vino, birra: chi si vaccinava ne riceveva in omaggio. Lo stesso abbiamo fatto con le comunità religiose, andavamo a preparare piatti della cucina yiddish nelle case, approfittandone per spiegare come funziona il vaccino”. Slitta intanto il programma per vaccinare 120.000 lavoratori palestinesi, che doveva iniziare ieri. Il programma partirà in ritardo: non c’è ancora una nuova data ma si pensa che potrebbe iniziare già questa settimana, riporta Il Jerusalem Post. Il piano era di dare ai palestinesi che lavorano in Israele e in Cisgiordania una prima iniezione del vaccino Moderna per un periodo di due settimane, seguita da una seconda iniezione un mese dopo.

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