Esplosione in un porto iraniano: 40 morti e oltre 1000 feriti. Spunta l’ipotesi di un cargo cinese

Un boato assordante ha squarciato il porto di Shahid Rajaee, a due passi da Bandar Abbas, nel sud dell’Iran, sullo Stretto di Hormuz, a 1050 chilometri da Teheran. È sabato mattina quando l’esplosione, tanto potente da ricordare la tragedia di Beirut del 2020, semina morte e distruzione: l’ultimo bilancio delle vittime è salito a 40, mentre i feriti superano quota 1.000, come riportato da Reuters. Il New York Times, citando una fonte anonima vicina al Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica, ha rivelato che la sostanza chimica esplosa sarebbe il perclorato di sodio, componente principale del combustibile solido per missili.
Intanto, il mondo si interroga: incidente o sabotaggio? E spunta il sospetto di un cargo proveniente dalla Cina. Un video drammatico, rimbalzato sui social, immortala gli istanti prima della catastrofe. Una voce in farsi grida disperata: “Indietro, indietro! Via il camion del gas, sta per esplodere!”. Poi, il fragore. L’onda d’urto devasta container, fa crollare finestre a chilometri di distanza, costringe i lavoratori a una fuga disperata, i volti coperti di sangue. Un incendio infernale avvolge il molo, mentre ambulanze sfrecciano verso ospedali al collasso. Le autorità lanciano un appello urgente: servono donazioni di sangue, soprattutto gruppo 0.
Un porto chiave nel mirino
Shahid Rajaee non è un porto qualunque. Gestisce il 55% delle esportazioni e importazioni iraniane, il 70% del transito portuale e il 90% dei container del Paese. Già nel 2020 era finito sotto attacco cibernetico, attribuito a Israele. Oggi, l’esplosione riaccende i riflettori su un’infrastruttura cruciale, in una regione ad altissima tensione geopolitica.
Le autorità di Teheran tacciono sulle cause. Mehrdad Hasanzadeh, responsabile provinciale per la gestione delle crisi, parla alla TV di Stato di un “container” con materiali chimici infiammabili, ma ammette: “Finché l’incendio non sarà domato, impossibile stabilire la verità”. Un silenzio che alimenta dubbi e teorie.
Il mistero del cargo cinese
A infittire il giallo, emerge l’ipotesi di un collegamento con la nave iraniana Jeyran. Secondo un’inchiesta di Newsweek, che cita Maritime Executive, il cargo, partito dalla Cina, avrebbe attraccato a Bandar Abbas meno di un mese fa. A bordo, si sospetta, perclorato di sodio, sostanza chiave per il carburante dei missili balistici, destinato a rimpinguare le scorte iraniane dopo gli attacchi contro Israele.
“L’incendio potrebbe essere stato innescato da una gestione scorretta di questi materiali”, ipotizza la società di sicurezza Ambrey. Ma perché sostanze tanto pericolose erano ancora nel porto? Nessuno lo spiega. C’è chi, però, invita alla cautela, ricordando la lunga scia di incidenti industriali in Iran, spesso legati a infrastrutture obsolete. Eppure, il contesto – con le tensioni regionali alle stelle – rende il sabotaggio un’ipotesi tutt’altro che remota.
Colloqui nucleari sotto pressione
L’esplosione scoppia mentre, a Muscat, in Oman, il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi e l’inviato Usa Steve Witkoff sono impegnati nel terzo round di negoziati sul programma nucleare di Teheran. I colloqui, definiti “positivi” e “tecnici” da Araghchi, e “costruttivi” da un alto funzionario statunitense, proseguono senza intoppi. Il prossimo incontro è in agenda il 3 maggio in Europa. Intanto, Israele si smarca: “Non c’entriamo nulla”, assicurano fonti di Gerusalemme.
Un enigma che scuote l’Iran
Con le fiamme ancora vive a Shahid Rajaee, il mistero resta fitto. Errore umano, guasto strutturale o atto deliberato? L’ombra del cargo cinese getta nuova luce su una vicenda che potrebbe ridisegnare gli equilibri in Medio Oriente. Per ora, l’Iran conta i suoi morti, tampona l’emergenza e si prepara a un’indagine che si preannuncia complessa. Ma in un’area dove ogni incidente può diventare un casus belli, il mondo trattiene il fiato.