Geoff Dyer: il pronome io è come un canarino nella miniera

3 agosto 2019

Diceva Philip Roth, uno che di scrittura in prima persona se ne intendeva, che il pronome io era spesso il miglior modo per camuffarsi all’interno di un testo letterario, il miglior modo per “fare finta”. Tra gli autori contemporanei uno dei più interessanti tra coloro che scrivono utilizzando la prima persona è Geoff Dyer, un vero fuoriclasse della scrittura letteraria meno facilmente definibile. Lo abbiamo incontrato a Torino e abbiamo parlato del suo modo di stare dalla parte del narratore che dice “io”.

“C’è qualcosa di mio – ha spiegato Dyer ad askanews – ma io sono il tipo di scrittore che non potrebbe mai assumere un assistente per le ricerche. Perché non ne ho bisogno: io sono il mio migliore assistente, nel senso che so ciò di cui ho bisogno come scrittore. Credo che l’uso della prima persona sia un elemento dello sguardo, come il canarino nella miniera, per fare esperienza delle cose, per portarle indietro e in qualche modo rispondere a esse. Si adatta a me e mi permette di non dover essere per forza diligente in altri modi. E comunque l’io è una figura stilisticamente piuttosto ampia”.

Romanziere, saggista, reporter, critico culturale… definire Dyer più che difficile è inutile, perché ogni incasellamento non renderebbe giustizia alla sua capacità di scrittura, alla sua voglia di battere ogni volta strade meno consuete, dalle quali però poi i lettori ricavano, come nel caso delle sue celebri storie di jazzisti oppure nei saggi sulla fotografia, esperienze che molto spesso appaiono uniche. E lo stesso accade con un piccolo, ma magnifico reportage letterario sul celeberrimo intervento di Land Art “Lightning Field” di Walter De Maria, pubblicato nella raccolta “Sabbie bianche”.

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“Credo che guardare il Lightning Field dal punto di vista delle discussioni sull’arte – ci ha detto lo scrittore – sia probabilmente il modo meno interessante di farne esperienza. Io credo che se lo si porta nel contesto dei monumenti e dei siti antichi, allora invece si crea un modo molto più rilevante di avvicinarsi all’opera”. Il pezzo su De Maria riguarda espressamente la nostra stessa nozione del tempo, e il tempo è anche la questione che arde sotto la domanda con cui ci congediamo da lui: come vede il futuro della scrittura, diciamo nei prossimi 20 anni.

“Non ho idea di cosa succederà – ci ha risposto – però, e qui c’è la cosa straordinaria, in qualche modo mi sono trovato ad avere 61 anni e quindi sto andando verso la fine della mia vita creativa e probabilmente non sarò più in giro tra 20 anni. In questo momento sto scrivendo una cosa sugli ultimi lavori delle persone e credo che sia il momento giusto per me per affrontare questo argomento”. Inafferrabile Geoff, si diceva, e, per fortuna, anche qui non si è smentito. Un brindisi a lui e ai suoi libri.

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