Giorgia Meloni rilancia: via libera al terzo mandato per tenere unita la maggioranza

La Premier abbandona i veti sul limite ai governatori. Gli analisti: “Una scelta di convenienza, per tenere unito il centrodestra e guadagnare tempo”

Giorgia Meloni

Giorgia Meloni

C’è un prima e un dopo nella strategia politica di Giorgia Meloni. Prima: Fratelli d’Italia boccia ogni proposta sul terzo mandato per i presidenti di Regione, bloccando in Parlamento gli emendamenti della Lega e facendo ricorso alla Corte costituzionale contro le leggi che aprivano alla ricandidatura di Vincenzo De Luca in Campania e Maurizio Fugatti in Trentino.

Dopo: Fratelli d’Italia apre al confronto, e il responsabile organizzazione Giovanni Donzelli afferma che “non c’è una preclusione ideologica” sull’argomento, purché venga affrontato “a livello nazionale” e non Regione per Regione. È una svolta significativa. Ma perché avviene adesso? E cosa c’è dietro questo cambio di rotta?

“Stabilità” prima di tutto

La risposta, in parte, la fornisce la stessa premier Meloni. “La riforma più grande è la riforma della stabilità”, ha dichiarato alla festa de La Verità, ridimensionando così l’importanza delle riforme simbolo della destra di governo, come il premierato o l’autonomia differenziata. Una frase che gli osservatori interpretano come il vero spartiacque: Meloni vuole arrivare al 2027 senza scosse. Per farlo, è pronta a fare concessioni agli alleati e a smussare le rigidità ideologiche.

Da qui, l’apertura su un tema che fino a ieri era un tabù: la possibilità per i governatori di candidarsi per un terzo mandato consecutivo. Un cambio di posizione che spiazza Forza Italia, disorienta Fratelli d’Italia soprattutto in Veneto e fa esultare la Lega, da sempre favorevole allo sblocco. “È una scelta saggia”, ha commentato il Carroccio.

La mossa del cavallo: una partita a scacchi nel centrodestra

Secondo molti opinionisti, più che una svolta di principio, si tratta di una mossa tattica. Da un lato, Meloni cerca di neutralizzare le pressioni della Lega, che vuole ricandidare Luca Zaia in Veneto e punta a mantenere la leadership nel Nord. Dall’altro, depotenzia le tensioni con Forza Italia, che pur restando ufficialmente contraria, ora ammette che “il confronto non fa mai male”, come ha detto Gasparri.

Dietro questa apparente apertura al dialogo, si cela però un’equazione delicata: se si permette il terzo mandato, Zaia in Veneto, Fontana in Lombardia, Fugatti in Trentino e Fedriga in Friuli potrebbero ricandidarsi, consolidando il dominio leghista nel Nord. E Fratelli d’Italia? Rimarrebbe senza governatori nelle regioni chiave del Settentrione. Un’ipotesi che molti nel partito considerano inaccettabile.

Donzelli ha provato a rassicurare: “Non vogliamo mettere bandierine, vogliamo il miglior candidato possibile”. Ma i veneti di FdI non nascondono la delusione. Dopo avere portato alla causa meloniana percentuali da record, si aspettavano un riconoscimento politico, non la riammissione in pista di un competitor carismatico come Zaia.

Il documento delle Regioni: la base per riaprire il dossier

A giustificare la riapertura della discussione è stato richiamato il cosiddetto “documento di Venezia”, firmato dalla Conferenza delle Regioni, che chiede di valutare la possibilità di superare il limite dei due mandati. “Se le Regioni pongono la questione, ha un peso”, ha riconosciuto Donzelli. Ed è proprio questo l’appiglio che consente a Fratelli d’Italia di cambiare posizione senza ammettere un’inversione a U.

Anche se la Premier ha scelto di minimizzare il valore delle prossime elezioni regionali — in programma in autunno in Campania, Puglia, Toscana, Marche, Valle d’Aosta e Veneto — è evidente che i giochi si stanno riaprendo. Matteo Salvini ha già chiesto di “fare in fretta” nella scelta dei candidati. Ma ora tutti attendono di capire se davvero la legge sarà modificata in tempo utile per consentire la ricandidatura dei presidenti uscenti.

Le opposizioni: “Meloni cambia per convenienza”

Per le opposizioni, non ci sono dubbi: si tratta di una manovra opportunistica. Matteo Renzi attacca: “Meloni apre al terzo mandato per convenienza personale. Vuole creare caos nel centrosinistra in Campania e risolvere i problemi con la Lega in Veneto”. Filiberto Zaratti (Avs) è più duro: “Fratelli d’Italia dovrebbe sostituire la fiamma nel simbolo con una banderuola”.

Anche Clemente Mastella, sindaco di Benevento e componente dell’esecutivo nazionale dell’Anci, osserva: “Registriamo l’inversione dei meloniani. Ma non si può torcere lo Stato a uso e consumo delle convenienze politiche del momento. Se si apre ai presidenti di Regione, bisogna fare lo stesso con i sindaci dei Comuni sopra i 15mila abitanti”. E chiede la convocazione di un’assemblea straordinaria dell’Anci.

Una mossa ad alto rischio

Il cambio di posizione è stato così repentino da cogliere di sorpresa anche gli alleati. Fonti parlamentari riferiscono che la Lega non si aspettava un’apertura così esplicita. Né se l’aspettavano alcuni esponenti di Fratelli d’Italia nelle regioni interessate, che ora temono di dover rinunciare a candidature costruite con fatica.

Resta da capire quale sarà lo strumento legislativo per operare la modifica: un disegno di legge, forse, o un emendamento a un provvedimento già incardinato. Ma l’eventualità di un decreto legge viene esclusa: troppo delicato il terreno elettorale. Sarà necessario, come ha detto Gasparri, un “passaggio tra i leader” per evitare rotture e incomprensioni.

La posta in gioco: il 2027

Giorgia Meloni guarda al traguardo del 2027. Sa che mantenere la compattezza della coalizione è l’unico modo per arrivarci senza incidenti. Da qui la scelta di non irrigidirsi sul terzo mandato, di non alzare muri, ma di guadagnare tempo. Forse la legge non verrà cambiata prima dell’autunno. Forse verrà fatta slittare.

Ma intanto, la Premier ha segnato un punto: ha mostrato flessibilità, neutralizzato una mina nel centrodestra e dato un segnale di apertura, sia alla Lega sia a Forza Italia. Nel frattempo, il tempo passa. E ogni giorno guadagnato senza strappi è, per Giorgia Meloni, un giorno in più verso la “grande riforma della stabilità”.