Il mistero dell’agenda rossa: cosa nascondeva il procuratore Tinebra?
Un appunto datato 20 luglio 1992, una firma che brucia come un marchio a fuoco, e tre case perquisite dai Ros. La caccia all’agenda rossa di Paolo Borsellino riapre uno scenario inquietante che collega massoneria, depistaggi e il più grande mistero irrisolto della storia giudiziaria italiana.
La Procura di Caltanissetta ha ordinato perquisizioni nelle abitazioni dell’ex procuratore Giovanni Tinebra, morto nel 2017, alla ricerca del reperto più prezioso e misterioso del caso Borsellino: quella famosa agenda rossa nella quale il magistrato annotava spunti investigativi che avrebbero potuto cambiare il corso delle indagini sulla mafia.
Il documento che inchioda
Al centro dell’inchiesta emerge un documento esplosivo: un appunto firmato da Arnaldo La Barbera, allora capo della squadra mobile di Palermo, datato 20 luglio 1992. Poche righe che suonano come una confessione: “In data odierna, alle 12, viene consegnato al dr. Tinebra, uno scatolo in cartone contenente una borsa in pelle ed una agenda appartenenti al giudice Borsellino”.
La Procura guidata da Salvatore De Luca sottolinea un particolare agghiacciante: l’appunto “privo di qualsiasi sottoscrizione per ricevuta” da parte di Tinebra “non era mai stato trasmesso a quest’ufficio nell’ambito delle indagini per la strage di via D’Amelio”. Un silenzio durato trent’anni, una carta nascosta che oggi potrebbe riscrivere la verità.
La pista massonica
Giovanni Tinebra non era un magistrato qualunque. Dal 1969 al 1992 aveva prestato servizio nella Procura di Nicosia, in provincia di Enna, e secondo le indagini sarebbe stato affiliato a una loggia massonica coperta proprio in quella città. Una tessera che lo collega direttamente al mondo delle trame oscure che hanno avvolto il caso Borsellino.
Era proprio Tinebra a guidare la Procura di Caltanissetta quando venne orchestrato il depistaggio attraverso il falso pentito Vincenzo Scarantino, in quella che gli inquirenti definiscono “il più grande depistaggio della storia d’Italia”. La regia, secondo le ricostruzioni processuali, sarebbe stata dello stesso La Barbera, morto nel 2002 portando con sé i suoi segreti.
Il tempo per agire
I magistrati nisseni ricostruiscono una timeline inquietante: la borsa di Borsellino sarebbe finita nelle mani di La Barbera la sera del 19 luglio 1992, per essere poi consegnata a Tinebra nella tarda mattinata del 20 luglio. “La Barbera avrebbe avuto tutto il tempo di prelevare o estrarre copia della più volte citata agenda rossa”, osserva la Procura con un linguaggio che lascia poco spazio all’immaginazione.
Le perquisizioni hanno interessato due abitazioni in provincia di Caltanissetta e una terza ad Acicastello, alle porte di Catania. È stata controllata anche una cassetta di sicurezza in una banca, trovata completamente vuota. Un vuoto che potrebbe nascondere il pieno di una verità troppo scomoda.
Le ombre del passato
Sin dagli anni Novanta, diversi collaboratori di giustizia, tra cui Gioacchino Pennino, hanno parlato di una loggia massonica nata “sulle ceneri della P2” con l’obiettivo di infiltrare gli apparati pubblici e creare un organismo di potere parallelo. Storie che oggi tornano a galla con una forza dirompente, alimentate dalle perquisizioni che hanno portato all’acquisizione di nuova documentazione.
L’agenda rossa di Paolo Borsellino resta il Santo Graal delle indagini antimafia: un reperto che potrebbe contenere nomi, collegamenti, intuizioni investigative capaci di far tremare i palazzi del potere.
E, intanto, mentre la Procura di Caltanissetta continua a scavare nella verità, una domanda brucia più delle altre: se l’agenda rossa non è stata trovata nelle case di Tinebra, dove si nasconde? E soprattutto, chi ha ancora interesse a tenerla lontana dagli occhi della giustizia?